Chiaramonti, il portale delle vostre idee

Il libero spazio per le vostre opinioni

Archivio di dicembre, 2010

La Fiaba di Capodanno

Scritto da carlo moretti

Ogni volta che guardava il mare, sentiva la voce di un amico e quell’amico era in sintonia con lui: non c’era stata volta che il mare non fosse stato in burrasca quando lui era turbato e piatto quando lui era in pace con se stesso. Arturo, come ogni giorno, girava poi le spalle al suo azzurro amico allontanandosi verso casa. Mentre attraversava quell’antico borgo di mare, si sentiva un fantasma ancora più antico del paese stesso. Ormai neanche le case, che lo avevano visto nascere, si degnavano di regalargli un sorriso mentre passava davanti a loro, figuriamoci persone arrivate lì pochi anni prima e con un quarto degli anni di Arturo sulle spalle.
Arrivato a casa controllò la posta, sicuro di trovarla vuota come la sua vita. Invece trovò una busta che lo attendeva nella penombra della cassetta. La aprì convinto che il postino avesse preso un abbaglio e lesse:
“Gentile umano. Siamo lieti di invitare la signoria Vostra, alla nostra riunione annuale, che si terrà nell’abetaia sotto la grande montagna, il 31/12 a mezzanotte. Firmato: le vostre più fedeli compagne di viaggio.”
Rilesse, poiché forse gli occhi lo avevano tradito ma non era così: dei fantomatici personaggi lo avevano invitato la notte di Capodanno ad una riunione, lui che non passava un Capodanno in compagnia di qualcuno da almeno dieci anni. Sarebbe stato pericoloso andarci? In fondo cosa importava, a ottantacinque anni, qualsiasi svolta nella sua vita era ben accetta.
Arrivò il trentuno dicembre.
Il paese si preparava per far esplodere l’anno che volgeva al termine ma Arturo si sentiva fuori da questi preparativi. L’adrenalina però aveva fatto visita anche a lui quel giorno. Si sentiva elettrizzato all’idea di scalare una montagna nel cuore della notte e raggiungere un luogo dove effettivamente, non sapeva chi ci fosse ad aspettarlo.
Alle dieci iniziò la sua scalata, ci sarebbero volute almeno un paio d’ore per raggiungere l’abetaia e a ottantacinque anni……bè meglio stare larghi!
Circa mezz’ora prima della mezzanotte quei sempreverdi erano lì davanti a lui, immersi in un silenzio che faceva bene all’anima. I botti e i rumori della città in festa sembravano gli echi di una lontana battaglia. Lì regnava la pace.
Arturo si incamminò tra gli alberi, respirando l’umidità del bosco. L’oscurità aveva invaso tutto e quella luce che proveniva dal fondo del’abetaia era messa ancora più in risalto. Arturo si diresse verso la luce. Scoprì che proveniva da una grotta, di cui tra l’altro non conosceva l’esistenza. Si inoltrò nel buio iniziale della caverna, lì l’umidità si intensificò, si diresse verso il fondo, verso la luce……..
“Benvenuto uomo!”, la voce era forte e rimbombò tra le pareti.
Ad un lungo tavolo erano sedute delle strane creature, alcune bianche e alcune nere, simili a fate o almeno all’immagine di fata che Arturo si era fatto.
“Ti chiederai chi siamo, Arturo. Presto detto: siamo le domande. E’ da quando sei nato che stiamo vicino a te e ai tuoi simili, da quando cominciasti a chiederti se fossi riuscito ad alzarti in piedi, aiutandoti con il divano di casa a quando cominciasti invece a chiederti se esserti alzato e camminare avesse avuto un senso. Ma non è tutto, qui sono presenti questa sera, altre sorelle, diciamo più famose. Si tratta delle domande che hanno generato grandi invenzioni. Quella che vedi seduta lì è la domanda che si è posto l’uomo quando cercò di creare qualcosa su cui trasportarsi e trasportare le cose, così nacque quella che tu conosci come ruota. Ma l’elenco sarebbe lunghissimo, non ti posso presentare tutte loro una per una, ma ti assicuro, sono tutte qui. Quest’anno abbiamo pensato ad una novità: uno della tua specie, avrebbe partecipato alla nostra riunione e arrivo subito a spiegarti il perché. Visto che sei uno degli esseri che ci ha create, forse puoi risolvere un nostro problema. Come vedi alcune di noi sono nere. Il motivo e’ che sono domande a cui non sono state trovate risposte e noi abbiamo pensato, chi meglio di un uomo può illuminarci? Perché generate alcune di noi, se poi non trovate loro un degno compagno, una degna risposta?”
Arturo era sconcertato. Strano era che quello che lo sconcertava maggiormente non era la situazione paradossale in cui si trovava ma quell’ultima domanda, fatta da una domanda e a cui lui non si sentiva in grado di dare una risposta. Gli venne da sorridere, perché quegli strani esseri lo avevano scambiato per Dio.
“Beh, Arturo, che tu sia comunque il benvenuto, che tu abbia o no una risposta e Buon Anno Nuovo!”
Era mezzanotte in punto e la lontana battaglia si intensificò.
Il mondo stava festeggiando un nuovo anno e nuove domande, che l’anno successivo avrebbero festeggiato in quella grotta. Arturo si commosse pensando che, su tutta l’umanità, fosse stato scelto proprio lui per quell’incontro anche se purtroppo non poteva essere molto d’aiuto.
Si girò dirigendosi verso l’uscita della grotta quando si accorse che le “fate nere” si erano alzate e lo seguivano.
Si girò e vide che lo stavano guardando con occhi pieni di speranza.
Prese per mano le domande senza risposta e si addormentò con loro.
Le portò con sé in un luogo dove esse divennero di un bianco lucente, dove trovarono le anime gemelle tanto cercate: le risposte a ognuna di esse, molte delle quali, in realtà risiedevano già nelle piccole cose di tutte i giorni e nelle grandi cose della vita.

Auguri!!!

Scritto da carlo moretti

Auguri di Buon Natale a tutti gli affezionati di

ztaramonte.it

ma anche a chi ancora non ci conosce!!

Il presepio dei sette anni di Achille Campanile

Scritto da carlo moretti

Al presepio Luca cominciava a lavorare parecchi giorni prima di Natale e la preparazione di esso si svolgeva in un’atmosfera di guerra, del tutto in contrasto col carattere idillico della pia bisogna. Le prime scaramucce avvenivano quando, un paio di settimane avanti la Vigilia, si tiravan fuori gli accessori conservati dal Natale precedente. Tutti rotti o malandati. Bisognava far quasi tutto nuovo. Il che dava modo a Luca di tuonare contro il disordine della casa. Dopo di che s’aprivan le ostilità per la scelta del luogo.
I primi anni, questa era caduta su un angolo della stanza da pranzo, ma, in seguito alle proteste della mamma per gli sbaffi di pittura e gli strappi che poi restavano sul parato, il Presepio, snidato e incalzato di stanza in stanza fini in un angolo dell’anticamera dove, a causa della semioscurità del luogo, fu talvolta sommerso dai cappotti dei visitatori; i quali poi se ne andavano bianchi della farina che serviva a far la neve.
Terza operazione bellica: manu militari, Luca requisiva in cucina la spianatoia della pasta, che doveva servire da base al Presepio La cosa non avveniva senza le più alte strida della vecchia e combattiva fantesca, la quale tentava di contender l’oggetto al padrone, in un tira e molla che attingeva momenti d’alta drammaticità. Ciò perché, nonostante Luca assicurasse che, dopo il Presepio, avrebbe restituito intatto quell’accessorio indispensabile per la pasta fatta in casa, a cose avvenute la spianatoia tornava in cucina con una vasta zona verniciata in verde (prati) e irta dei chiodi serviti a fissare ponticelli, alberi e rocce; chiodi la cui sola vista, all’idea d’impastare a mani nude, faceva raggricciar le carni. La vernice verde era percorsa da serpeggianti strisce di vario colore, che rappresentavano le strade di grande comunicazione e i principali corsi d’acqua della Palestina. Ormai su quella spianatoia sarebbero venute soltanto lasagne verdi, a causa della vernice.
Il problema laghi veniva risolto col sistema degli specchietti, da Luca che, novello Paleocapa, riusciva a dotar la regione d’un sistema idrico mirabile. Poiché i laghetti fra il muschio erano di facile e bell’effetto, egli forse ne abusava un po’, coi risultato di trasformare la zona di Betlemme e dintorni, notoriamente un po’ arida, in una specie di regione dei laghi, quasi una Finlandia. Questo l’obbligava a dar la caccia a tutti gli specchietti di casa e particolarmente a quelli d’una servetta che poi, riuscendo monotona una regione di laghi perfettamente tondi o quadrati, doveva assistere con un leggero pallore alla rottura di quei fragili oggetti, di cui Luca, ridottili a pezzettini, si serviva anche per effetti di cascatelle.
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La squadra dell’S.C.Chiaramonti batte il Mores per 3 reti a 0

Scritto da carlo moretti

Abbiamo latitato per ben 6 giornate di seguito, ma non ci siamo mai scordati dell’impegno dei nostri ragazzi. Eravamo rimasti al pareggio d’anglona con l’Erula, la settimana successiva a Torralba l’incontro non si è disputato per impraticabilità del campo e con il Bono abbiamo rimediato un’altro pareggio. A Thiesi siamo passati con una rete così come con il Cargeghe a Chiaramonti mentre a Nule nonostante l’impegno dei nostri leoni i padroni di casa hanno avuto la meglio con due goal.

Così arriviamo a ieri pomeriggio sul campo del “Paris de cunventu” con una bella vittoria, anche se umida, con il Mores.

Il prossimo incontro vedrà la squadra impegnata con la capolista Florinas, in bocca al lupo ragazzi, non dimenticate che abbiamo giocato una partita in meno.

In ogni caso FORZA RAGAZZI!!! FORZA CHIARAMONTI!!!

Per chi volesse godere di ulteriori commenti e cronaca dell’incontro, può farlo accedendo al sito ufficiale della squadra:

www.scchiaramonti.it

Ecco i risultati delle altre partite, il prossimo turno e la classifica del girone:

La festa di Natale di Carlo Collodi

Scritto da carlo moretti

La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.

Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina.

Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l’Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne’ sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La contessa passava molti mesi all’anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de’ suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l’ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:

«Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».

E perché il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d’ovatta: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.

Alberto, il fratello minore, aveva un’altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.

E fra lui e Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»

E Pulcinella non rispondeva.

«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto.

E Pulcinella, zitto! come se non dicessero a lui.

«Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella.»

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Il castello di Chiaramonti: la Topografia – di Gianluigi Marras

Scritto da Gianluigi Marras

(E’ possibile cliccare sulle immagini per vederle a dimensione originale e sulle notazioni per accedere subito alle note)

Analisi topografica

L’area da me analizzata mediante ricognizione archeologica è nota nella cartografia catastale come San Matteo[1], ma viene chiamato popolarmente Monte e’cheja, ovvero “monte della chiesa”. La toponomastica riporta dunque memoria dell’antica parrocchiale di San Matteo, traslata poi nell’attuale sede nel 1888[2], e non serba traccia dell’antico castrum.

Effettivamente la prima ubicazione del castello nel sito è quella dell’Angius, seguito poi dal La Marmora e quindi dagli altri studiosi di storia sarda, nella prima metà dell’800. Ancora il Mamely de Olmedilla, nella sua Relazione del 1769[3] (scritta l’anno prima), descrive la parrocchiale[4], “…grande e non brutta né in cattivo stato…[5]; ci dice inoltreche la pianura dove è situata in passato doveva essere popolata, “…secondo quanto indicano le fondamenta di abitazioni[6]” senza però far menzione di eventuali torri o apprestamenti militari.

L’Angius[7] è invece il primo che identifica il sito della chiesa parrocchiale con l’ubicazione dell’antico castello. Al momento in cui scrive “…sta ancora tutta intera una torre, perché fattasi servire a campanile; sono di un’altra visibili alcune parti, ed è qualche vestigio delle mura, tra le quali la cisterna scavata nella roccia…”[8]. Il generale Della Marmora, che visitò il paese nel 1834[9],  riteneva invece che della costruzione militare non restasse traccia e che sul suo perimetro fosse sorta la chiesa[10].

Descrizione geografica

La collina di Monte e’cheja è una delle tre alture su cui insiste il centro urbano di Chiaramonti, più precisamente quella posta a nord-est, di fronte alla collina denominata Cunventu a nord-ovest e a quella di Codina Rasa, sud-est. Tutto il massiccio è posto a strapiombo verso la fertile vallata interna dell’Anglona ad est (dove sorgono gli attuali centri di Martis, Laerru e Perfugas) e la vallata del Rio Iscanneddu a nord e nord-ovest (nella zona è vitale attualmente solo il villaggio di Nulvi, ma nel Medioevo vi si contavano molti insediamenti civili e monastici), mentre degrada più dolcemente verso sud. Storicamente il centro di Chiaramonti rimase isolato dalle vie di comunicazione fino agli anni settanta dell’ottocento, quando venne costruita la strada statale da Ozieri e Castelsardo[11], che ancora lo attraversa.

L’area sottoposta all’analisi è costituita dal tavolato calcareo in cima a Monte e’cheja, posta alla quota di 467 m s.l.m.. I versanti si presentano piuttosto ripidi in tutte le direzioni: solo a sud-ovest c’è la possibilità di un’ascesa, mentre ad ovest, sud, nord e nord-est si nota la presenza di pareti rocciose verticali di varia estensione. Specialmente il versante ovest è costituito da un fronte roccioso alto circa 10 m, di quasi impossibile percorrenza, soprattutto nei mesi invernali.

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A Chiaramonti Gavino Loche venerdì, presenterà il suo nuovo CD “Where was I?”.

Scritto da carlo moretti

Tempo fa in un mio articolo, promulgavo la presentazione del nuovo disco di Gavino Loche presso il Birland Jazz Club, ma non ero a conoscenza di quello che la bella serata trascorsa con gli amici in quel bellissimo locale mi avrebbe regalato.

Oggi posso dire con certezza, ma non vi aspettate una critica musicale piuttosto un parere da musicofilo, che il disco trasmette delle emozioni uniche, dotato quasi esagerando di vita propria, in grado di abbracciare e stringere chi lo ascolta.

Il pensiero più ricorrente quando lo ascolto, è quello dell’infanzia trascorsa e a tratti della consapevolezza che purtroppo, siamo costretti a diventare e rammentare la nostra esistenza di persone adulte. Questo non deve però far pensare ad un qualcosa di melanconico o troppo triste, ma piuttosto alla speranza, le idee e nuovi progetti che Gavino Loche vuole trasmettere con la sua musica, unica, inedita e frizzante.

D’altronde le sue composizioni che si ascoltino in un pomeriggio di sole, pioggia o vento, trasmettono sempre le stesse sensazioni, in quanto il calore dell’estate o il freddo dell’inverno non mutano lo spirito del musicista.

Venerdì 10 dicembre alle 20:30, nella serata organizzata dal Gruppo XXL e dall’Associazione Musicale Sard Rock Cafè, mi aspetto che tanti, musicofili e amanti della buona musica, siano con me nella Sala Consiliare presso il Centro Sociale a Chiaramonti per applaudire un artista/musicista, che in questi anni durante la vice direzione e la docenza nella scuola Civica di Musica, ha invogliato e risvegliato l’animo musicale di tante persone.

In questo articolo non scriverò per l’ennesima volta la sua biografia, ma vi invito a visitare il suo sito, dove è possibile ascoltare anche alcuni brevi spezzoni dei suoi inediti e visionare alcuni filmati dove Gavino è all’opera.

Per visitare lo spazio web di Gavino Loche cliccate qui.

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