Chiaramonti, il portale delle vostre idee

Il libero spazio per le vostre opinioni

“L’elefantino d’oro ad Alessandro Unali da parte di Achara Phanurat” di Simone Unali e Carlo Moretti

Scritto da carlo moretti

Il 10 Agosto scorso nella Sala del Consiglio Comunale di Chiaramonti, presso l’ex fondazione Falchi Madau, alla presenza del sindaco Marco Pischedda e di altri membri della Giunta e del Consiglio comunale, del presidente del Consiglio della Regione Sardegna, Gianfranco Ganau, dei professori Giovanni Soro e Paolo Puddinu, dell’interprete thailandese, sardo di adozione, si è svolta la cerimonia di premiazione nei confronti di Alessandro Unali, consigliere regionale della Sardegna, da parte di Achara Phanurat, attuale presidente della fondazione thailandese “Surindra International Folclore Festival” e già rettore della Surindra Rajabhat University (Srru) di Surin. Il premio conferito, l’elefantino d’oro, è il più alto riconoscimento dell’università thailandese, che ha voluto gratificare l’impegno profuso dall’on. Unali nel confronti di un popolo di usi, lingua e tradizioni diverse dalle nostre e apprezzarne la cultura come ponte di comunicazione fra il popolo sardo e quello thailandese anche con la promozione di opere sociali,
Per primo ha preso la parola il sindaco Marco Pischedda che ha parlato dell’impegno di interculturalità del nostro consigliere regionale, per tanti anni impegnato

nella Pro Loco chiaramontese e ideatore della manifestazione anglonese “Ajò Anglona” nonché Discorso del presidente della "Surindra International Folclore Festival"vicino al Coro di Perfugas che ormai da anni intrattiene relazioni calorose con la Thailandia.
A questo riguardo c’è stato l’intervento anche del prof. Soro che ha rimarcato come l’impegno del Coro Matteo Peru di Perfugas, nell’ormai lungo ciclo di visite nei

vari continenti, ha rafforzato le reciproche conoscenze tra i popoli e la Sardegna, facendo diventare le tradizioni popolari un motore efficiente di questa interculturalità.
Si è collegato al discorso di Soro anche il prof. Paolo Puddinu, docente di Lingua e Letteratura Giapponese presso l’Universitò di Sassari, testimoniando la calda ospitalità dell’Università thailandese menzionata, quando si è recato in quella Università e rimarcando la necessità di più stretti legami tra l’ateneo sassarese e quello thailandese.
Il presidente dell’assemblea regionale sarda, dott. Ganau, ha auspicato il rafforzamento culturale ed economico tra la Sardegna e la Thailandia.
Stesso premio è stato ricevuto nel 2013 da Giovanni Soro e dal prof. Paolo Puddinu che ha il merito di aver stretto i primi legami ufficiali con l’università di Surin durante il rettorato di prof. Attilio Mastino.

Consegna dell'elefantino d'oro a  Sandro UnaliNel corso dell’evento, con la partecipazione di molti compaesani, si sono esibiti il Coro Doria, il Coro De Tzaramonte, il Gruppo Folk Santu Matteu di Chiaramonti e i ballerini della “Surin Rayabhat University”.
La serata si è conclusa con un rinfresco e con una piacevole conversazione con gli ospiti tra i quali era presente la consorte thailandese e il figlioletto sardo-thailandese del premiato.
Da notare anche la disponibilità del sindaco che soltanto due giorni prima aveva contratto matrimonio con una cortese signorina di Nulvi. Da questo blog facciamo al primo cittadino Marco Pischedda e alla sua consorte i nostri più vivi auguri di un felice ménage.

Mauro Maxia, noto studioso anglonese, ha vinto il concorso nazionale di professore associato di filologia e di linguistica italiana

Scritto da angelino tedde

Mauro MaxiaMassimo Pittau e Angelino Tedde sono lieti di comunicare ai numerosi amici ed estimatori di Mauro Maxia, sardi continentali e stranieri e al mondo accademico che egli ha superato brillantemente il concorso nazionale per professore universitario associato. Riportiamo il lusinghiero giudizio collegiale che la commissione nazionale (integrata da un commissario dell’OCSE) ha formulato su di lui:

“Il candidato Maxia Mauro è funzionario presso una pubblica istituzione. Ha svolto attività di docente a contratto presso le Università di Cagliari e di Sassari tra il 2002 e il 2012; fa parte del Comitato scientifico del progetto dell’Atlante Toponomastico Sardo e del Consiglio scientifico del Comité d’Etudes Scientifiques Informatiques Toponymiques de Corse.

 Ha partecipato con interventi a convegni nazionali e internazionali. Secondo gli indicatori quantitativi del Cineca[1] il candidato supera le tre mediane e ha un’età accademica di anni 19,751.

 Il candidato dichiara complessivamente 60 pubblicazioni, tra le quali otto monografie (anche in collaborazione) e 18 articoli o capitoli di libri. La sua prima pubblicazione è apparsa nell’anno 1993. Le attività di ricerca sono state svolte con buona continuità anche negli ultimi cinque anni e sono state condotte con rigore metodologico e, con riferimento in particolare alla dialettologia dell’area sarda, hanno consentito di raggiungere risultati innovativi.

 Il contributo del candidato risulta complessivamente significativo e documenta la sua maturità scientifica. Gli undici lavori presentati (tra cui cinque monografie, di cui una in collaborazione) sono stati valutati analiticamente (nel ssd L FIL LET 12) alla luce dei criteri e parametri deliberati dalla commissione e risultano coerenti con il settore concorsuale. Si segnalano in particolare un volume sulla fonetica dell’area gallurese (n. 1), un saggio sulla posizione del gallurese e del sassarese (n. 9), un volume di studi linguistici sardo-còrsi (n. 4) e una monografia (n. 7) in cui sono presentati i dati di un’indagine sociolinguistica svolta in tre comuni della Sardegna settentrionale. Altri studi riguardano la toponomastica (n. 3 e n. 8) e l’onomastica (n. 10).

 Inoltre il contributo del candidato alla ricerca del settore si concretizza nella pubblicazione e nello studio linguistico di testi (n. 6, in collaborazione, e nn. 2, 5, 11). Nei lavori in collaborazione è indicata esplicitamente l’attribuzione delle parti ai diversi autori. La qualità della produzione scientifica è positiva, come la collocazione editoriale, per cui la valutazione è positiva.

 Considerati i titoli presentati e la valutazione di merito sulle pubblicazioni, la commissione delibera all’unanimità l’attribuzione al candidato (valutato nel ssd L-FIL-LET/12) dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 10 /F3.”

 L’abilitazione nazionale di Mauro Maxia dimostra che quando le commissioni giudicatrici operano in modo obiettivo e senza sistemi spartitori a vincere i concorsi sono davvero i migliori. Del resto, come semplici lettori dei suoi studi abbiamo avuto nel corso degli anni l’opportunità di apprezzare il valore delle sue numerose ricerche e il rigore delle metodologie seguite, rammaricandoci sempre che gli Atenei di Cagliari e di Sassari, pur apprezzandolo e conferendogli continui insegnamenti a contratto, non avessero bandito dei concorsi per inserirlo nelle strutture accademiche. Ora ci auguriamo che almeno una delle due università prenda atto non solo del titolo conseguito dal nostro studioso, ma che gli dia la soddisfazione di una cattedra universitaria che andrebbe di certo a beneficio sia degli studenti sardi sia della cultura sarda. (A.T.)

[1] Consorzio Interuniversitario per la gestione del centro di Calcolo elettronico.

XII. Ange de Clermont, il narratore del Marchio dalla protòme taurina sfugge all’attentato di un killer

Scritto da ange de clermont

Dopo l’uccisione dell’archeologo Antonio Pidde mi spostai lungo  il corso del rio Filighesos per visitare la domus de Bados de Lové dov’era nato Fizedomus, dalla piccola bisaccia che porto sempre appresso tolsi il taccuino e la matita, per descrivere il luogo. Con l’aiuto di una stearica cercai di penetrare nell’anticamera della domus dove pensavo che non ci fosse nessuno. Mentre tenevo il busto e la testa abbassata cercando di vedere le altre stanza,  vidi muoversi l’ombra di un uomo, chiesi subito: chi sei? L’ombra stette ferma, ripetei la domanda, ma per tutta risposta fui raggiunto da una nuvola di cenere sul volto. Feci appena in tempo a scuotermela e ad uscire fuori della domus. Buttai all’aria la stearica e cominciai a correre all’impazzata giù verso l’ansa del fiume. Mi raggiunse rotolando un masso tondeggiante che riuscii appena a schivare. Corsi all’impazzata sul greto del fiume e appena vidi una salita come via di scampo mi ci arrampicai, ben sapendo che qualcuno dietro a me stava attentando alla mia vita. A stento e con tanta fatica riuscii a raggiungere un pianoro ricoperto di macchia mediterranea del genere lentisco e procedendo a zig zag e nascondendomi dietro i macchioni riuscii a sfuggire a qualcuno che non era riuscito a risalire la ripida salita che partiva dal fiume. Tolsi dalla bisaccia una bottiglia d’acqua di Santa Giusta e cominciai a bere, mentre il sudore mi bagnava la fronte. La febbra sembrava attanagliarmi e provvidi subito a gettarmi sulla testa e sul viso il resto dell’acqua che non riuscivo a bere. Mi sentii rinfrescato e scorto un sentiero che conduceva alla località di Su Murrone dove abitavano dei parenti pastori mi diressi decisamente verso le cinque pinnette della vasta tanca. Dei cani iniziarono ad abbaiare e mi vidi un’altra volta perso, ma per fortuna ecco stagliarsi con la solita calma la nota figura di zio Martine Pedde che vedendomi così mal ridotto mi porse un braccio dicendomi:

- Dove diavolo ti sei cacciato? Non sai che Sassu Giosso è un inferno anche per noi? Devi essere più prudente, qui c’è gente sana di testa, ma ce n’è anche malata. Vieni in pinnetta a mangiare e a bere qualcosa e poi, se lo vorrai, ti accompagno a cavallo a Miramonti!-

Quest’accoglienza e soprattutto le ultime parole mi rassicurarono e mi passò la tensione, ma caddi anche per terra perdendo i sensi. Mi ripresi dopo che l’esperto zio mi getto un bel pò d’acqua sulla testa e sul viso e mi  fece bere un bel pò di latte caldo appena munto. Mi offrì pane e ricotta e così potei riprendere le forze. Accanto a zio Martine era arrivata anche la moglie e i due figli piccoli che ridevano vedendomi così malconcio. Ebbi finalmente la forza di ringraziare. Zio Martino mosse la testa come per dire che per un parente si faceva questo ed altro, ma dopo un pò riprese a parlare dicendomi suadente:

- Caro nipote, io credo che con questa vita da spia di questi delitti, non puoi tirarla a lungo. In paese sono stufi di quanto scrivi, gli archeologi se potessero ti farebbero fuori e carabinieri e pretori, dopo la storia del pretore lombardo, non ti vedono di buon occhio, stai attento tutto questo potrebbe costarti la vita. Lascia che le leggi che regolarno questa vita di pastori vada avanti per conto suo, che in paese i possidenti continuino a fare il bello e il cattivo tempo e non parlare più delle donne, quelle se potessero ti farebbero a pezzi. E poi che cosa hai da dire sempre su quelle santicche? Non sai che sono dei parafulmini davanti a Dio per tutte le malefatte che noi pastori combiniamo.  Chi è derubato oggi, ruba a sua volta domani e così tutto si appiana. Se hai cara  la pelle, vacci più piano come cronista di questi morti ammazzatti. Ora tocca a sos archeologos de Susu, oggi a me domani  a te. Ma a proposito che cosa ne pensi di Andria Galanu?-

-Zio Marti’, volevo chiederlo a voi?- Rispose:

-Marrascu est marrascu, ma nessuno l’ha mai trovato sul fatto anche se si muove su tutto il territtorio come una volpe. Pare che non solo conosca i sentieri, ma anche tutti i cunicoli del territorio di Miramonti. Quando manco te l’aspetti, lo incontri! Deve stare attento però anche lui è un uomo mortale.-

Mentre parlava, zio Martine, aveva finito di sellare il cavallo, si mise in sella e facendo del braccio una leva m’invito a salire sul sellino posteriore e si partì per Miramonti.

Si andò avanti in silenzio, ma io davo uno sguardo con una certa ansia timoroso che da qualche muro a secco della mulattiera non piovesse un rosone di pallettoni che mi mandasse a raggiungere il parente archeologo, passato col marchio del toro sulla fronte all’altro mondo.

Nonostante tutto, continuerò a indagare questi delitti e a descriverli. Certo, me la son vista brutta!

Amare Chiaramonti: La processione di Pasqua tra suoni profumi e colori – Pasqua 2009.

Scritto da angelino tedde

Gesù risorge trionfante e bello.

Pieno di splendore.

Si commuove il mio cuore.

Del male che ho fatto

Egli mi perdonò…

Così iniziava la prima poesia che la mia splendida maestra, dagli occhi grandi  e  azzurri, Maria Athene, apprezzò talmente da pubblicarmela su un giornalino scolastico a stampa, nel ’49. Quanto c’era però, in quei versi di  tardo-scolaro di scuola elementare, dei ricordi della Pasqua, delle visioni liete della mia infanzia dolce di ragazzo di strada, a Sa Niera, in Chiaramonti, il mio dolce paese di collina che  mi faceva e tuttora mi fa vibrare il cuore?

Dopo i tre giorni di lutto generale, per la morte di Cristo, il legamento delle campane, la processione de “S’Incontru” al mormorio delle invocazioni,  subissate dal gran fracasso de “sas matraccas”, si diffondeva nelle vie del paese, confondendosi con l’aria frizzante che si respirava, il profumo de sos pabassinos, de sas cadajinas, de sas cotzulas de pistiddu, de sas copullettas. Dai fumaioli delle case usciva  il profumo di mandorle dolci e amare. C’era nel borgo un sommesso chiacchiericcio, uno scambio di aiuto tra le famiglie di contadini e pastori, una profusione di bravura dolciaria tradizionale incontenibile e una generosità del donare e del ricevere.

Molte porte si aprivano per ricevere un dono, altrettante si aprivano per portare un dono. Messaggere silenziose e garbate, le preadolescenti, il cui sguardo sapeva ancora di fanciullezza.

In quest’atmosfera da fiaba, mentre il Cristo scendeva agl’Inferi, per riportare in Cielo gl’immalinconiti Patriarchi, il borgo viveva l’attesa di Pasqua.

La mattina del giorno tanto atteso, nella chiesa di San Matteo, dopo la proclamazione del Gloria, le campane si scioglievano suonando a distesa, con tintinnii e toni diversi, mentre le rondini svolazzavano fra i tetti  e dai prati e dalle colline in fiore, spiravano brezze e colori.

E noi bambini di strada, non rivestiti come i chierichetti, pavoneggiatesi in tonachine rosse e cotte bianche, accanto al Vicario nel massimo splendore liturgico, avevamo un bel da fare nelle case con  adeguati bastoni a picchiar sulle cassapanche, forse a cacciare i diavoli che avevano occupato spazi impraticabili con il Cristo Risorto.

Al termine della Messa di Pasqua le campane riprendevano a suonare a distesa e un’imponente processione attraversava le vie principali del paese. Eccolo allora il Cristo Risorto avanzare nel trionfo della sua vittoria sulla morte, seguito dalla Vergine rivestita da una tunica bianca e ricoperta da un manto azzurro. Tutto il paese si poneva alla sequela delle due statue in processione, anche quegli uomini duri e impacciati che per dodici mesi l’anno se l’erano  spassata con i peggiori diavoli del borgo.

Noi bambini di strada, da punti strategici, nel caso mio e dei miei amici, dal muro di sostegno della casa Grixoni, sbarrando gli occhi, guardavamo finalmente Gesù Risorto e sua Madre tutta felice. Non mormoravamo  preghiere, ma guardavamo la folla che ondeggiava, mentre le campane continuavano a risuonare a festa.

Un segno di croce, fatto alla buona, quando passavano Gesù e Maria e poi richiamati, dalle mamme, ci si apprestava a gustare l’agnello, appena tolto dal forno. Le campane però continuavano a squillare come una benedizione sulle piccole case di piccola e povera gente, felice  di respirare l’aria profumata  di Pasqua.

XI. La filosofia di Andria Galànu di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Il pomeriggio venne insieme al conturbante archeologo Andrea Galanu nella caserma di Miramonti. L’archeologo dalla mappa segreta e dai molti sospetti si presentò ai militi come Lucifero davanti a San Michele Arcangelo, pronto alla battaglia, se doveva esserci battaglia.

Il brigadiere Carrigni, appena ferito da Cupido per la bella Anghela Nigoleddu, non aveva nessuna voglia di dar retta ai sospetti delle comari del borgo, rapide nella diffusione delle notizie e dei sospetti, ma pronte a professare che la loro anima era da considerarsi libera dal prendere le chiacchiere come la verità definitiva sui fatti. Tra uomini del resto, più che tra donne, quelle chiacchiere diventavano indizi gravi, tra i pastori dalla mente piuttosto statica, meno grave per i contadini più ingegnosi a causa del dover combattere ogni giorno la battaglia della vita come prestatori d’opera verso possidenti che univano la sobrietà del remunerare alle pretese dell’avere. Inoltre gli uomini più che con le chiacchiere con sguardi, con gesti,con mezze parole dicevano e non dicevano, quasi facenti parte di una commedia di mimi.

In Piatta, nella bottega del fabbro, c’era poco da aprir bocca tra quei colpi di martello sull’incudine, presso la bottega del falegname, dato il carattere dell’uomo, segaligno e calcolatore, era come recarsi al cimitero nei giorni dei funerali, silenzio assoluto, qualche parola in più presso le bottegaie e nei crocchi presso la casa comunale-scuola dove a seconda del servizio ricevuto, andavano e tornavano imprecazioni contro il sindaco e i civici consiglieri. Fatto sta che i sospetti nei confronti di Galanu vagavano nell’aria come anime in pena,  ma alla resa dei conti l’uomo era consapevole delle sue convinzioni e se un omicidio non l’aveva compiuto non doveva di certo far intendere che l’avesse portato a termine e se doveva nascondere i suoi movimenti nel territorio per non incorrere in sospetti, doveva mentire con determinazione.

Il sospettato bussò alla porta della caserma e il piantone gli aprì la porta accompagnandolo presso l’ufficio del brigadiere.

-Buongiorno, signor Galanu, si accomodi!-

L’uomo rispose al saluto del brigadiere ricambiandolo e fissando con quei suoi occhi penetranti al punto che il milite ne fu conquistato.

-Signor Galanu, riprese, lei sa perché l’ho convocato?-

-Ma certo, rispose l’uomo, so bene che è vostro dovere indagare sull’assassinio del collega Pedde, che per la verità non mi era molto simpatico, ma da questo ad eliminarlo, c’è una bella differenza. D’altra parte ho i miei alibi. Io il giorno stavo facendo degli assaggi sul Nuraghe Aspru e sono stato visto sia da Mudulesu sia dalla moglie e forse dai servi. -

-Va bene, ma dovremmo verificare gli orari. Lei è uscito presto da Miramonti, a che ora è arrivato a casa del Mudulesu?-

-L’orologio del taschino va avanti, ma io lo guardo poco e sinceramente non saprei indicargli l’ora esatta e poi io spesso mi fermo davanti ad un masso, ai resti di un nuraghe alla ricerca di reperti antichi, per cui poco mi curo del tempo che passa. A volte m’incanto guardando i picchi dei costoni oppure il volo dei falchetti o gli stapiombi dei fiumi e il tempo vola, ma io resto fermo. Sono un ricercatore serio e quando mi concentro sono assente da quanto mi circonda. Mia moglie mi dice che vivo nelle nuvole, ma io sono ben piantato per terra, solo che quando indago su una cosa mi assento da ciò che mi circonda. Del resto era così anche Giuanne Ispanu il mio maestro. Il volgo miramontano spesso non mi capisce, ma a me poco interessa. Vede brigadiere io sono come una miniera, per scavarla ci vogliono anni e bisogna andare a fondo. La storia messa in giro sul delitto di Antonio Pedde, che Dio l’abbia in gloria, non scalfisce minimamente la mia onestà. Sono tutto il contrario di tiu Nanneddu: lui fa le scoperte sotto gli occhi della gente, ci ride, a volte sbraita, io sono un  minatore, lavoro sotto terra, ci metto anni prima di convincermi di una cosa e quando ho scoperto i segreti degli antichi non vado a spifferarli ai quanttro venti come il mio amico scrivano che ha bisogno di raccontare, di pubblicizzare e di essere incensato, io voglio scoprire gli antichi e basta e tenermi i segreti per me.-

-Quindi anche la mappa segreta di Giuanne Ispanu?-

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X. Anghela Nigoleddu e la sua famiglia di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Brigadiere e carabiniere discesero i numerosi gradini dell’ingresso della caserma, svoltarono in via Pala de Carru, passarono per lo Stradone, risalendo la piazzetta della parrocchiale, e svoltarono nella Piazza principale del paese, detta appunto Piatta.

Le  bottegaie avevano aperto i loro negozi, mentre tanto il fabbro col suo martellare sull’incudine quanto il falegname con la sega avevano dato inizio al concerto della giornata. I militari se la presero con calma come di consueto risalendo sa Piatta ed ecco che, sorpassata la bottega del fabbro, si affacciò alla porta Anghela Nigoleddu. Il brigadiere la squadrò rapidamente e, visto che la ragazza lo fissava, ebbe l’ardire di  farle l’occhiolino. Anghela arrossì e rientrò dentro casa, riflettendo sulla sfacciataggine del brigadiere e da quel momento cominciò a chiedersi che cosa frullasse per la testa al capo della stazione di Miramonti.

 I due militari risalendo per s’Ulumu, svoltarono a destra, discesero i gradini de s’Arcu, rivedendo affaccendata l’anziana zitella che qualche giorno prima avevano visitato, la salutarono, discesero i gradini della stradetta che declinava verso la piazzetta della parrocchiale e senza ripassare nella Piatta rientrarono in caserma.

Il brigadiere Carrigni, sfregandosi le mani per il messaggio inviato alla bella ragazza entrò nel suo ufficio, si sedette e poco dopo si presentò in caserma Bustianu Pittarru, noto Fizedomus. L’uomo, tutto nervi e ossa, salutò e si sedette davanti all’ufficiale dell’Arma col viso imbronciato.- Egregio Signor Bustianu Pittarru la vedo imbronciato, ma non vi è ragione perché lo sia, l’ho convocato semplicemente per sentire la sua opinione sulla morte dell’archeologo Pedde.-

-Una persona per bene e per di più amico mio, per la cui morte mi sono molto addolorato e non riesco a sopportare che se ne sia andato per sempre. Se mi avesse chiesto una mano come era solito fare non solo lui, ma anche gli altri, in mia compagnia non l’avrebbero di certo ammazzato.-

-Chi pensa che sia stato? Aveva dei nemici?-

-Ma, secondo me, gli unici nemici erano gli altri archeologi che non potevano sopportare che fosse stato molto amico della buonanima di Giuanne Ispanu e soprattutto del vicario presso il quale godeva di grande stima. Poi, sa com’è, a volte certi amici pastori, magari anche compari, per antichi torti, gli hanno servito i maccheroni freddi.-

-Che cosa vuol dire che possono essere stati anche amici suoi di Sassu Altu e di Sassu Giosso?-

-Brigadie’, anima mia libera, ma sa com’è, di domus de Janas ce ne sono tante e dentro terreni di diversi padroni, per cui… io non lo so, ma indagherei anche su quelli, oltre che sugli archeologi, tutti amici miei, ma sa com’è, a volte vogliono insegnare a me dove e che cosa siano le domus de Janas.-

-So che non trattava bene con  Andria Galanu per via della famosa carta o mappa di tutti questi monumenti antichi.-

-Non l’ho detto io il nome, ma l’ha detto lei. Veda d’indagare. Io e la mia famiglia siamo molto rattristati e solo dispiaciuti che non si fosse lasciato accompagnare da qualcuno che avrebbe portuto difenderlo al momento opportuno.-

-Ho capito, secondo lei, abbiamo due piste di ricerca: pastori anche compari e archeologi.-

-Io, qui lo dico e qui lo nego, ma al suo posto non avrei lasciato perdere queste piste. In quanto a me, ho passato tutta la giornata della sua morte con uno dei miei fratelli a Sassu Giosso, visto che abbiamo dato una sarchiatina al frumento più tardivo de  sa Tanca Manna.-

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IX. Il fascino di Anghela Nigoleddu di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Il brigadiere Carrigni era un uomo sui trent’anni, con gli occhi azzurri, pelle chiara, i capelli castano-chiari, era alto un metro e ottanta ed aveva un bel portamento anche se, a prima vista, risultava piuttosto magro. Era riuscito a superare i momenti di crisi da quando era stato mandato in Zerdenia dalla Lombardia, dov’era nato da famiglia contadina.

Provenendo dalla bergamasca non poteva essere se non di sensibilità cattolica, tuttavia, aveva tenuto nettamente distinti il suo ruolo di sottufficiale dell’Arma e la sua professione religiosa. Col vicario era stato sempre deferente, ma mai contiguo.

Sapeva molto bene che per i carabinieri le prospettive del matrimonio si aprivano dopo i ventott’anni anni per cui si era mantenuto lontano dalla chiacchiere non eccedendo mai in familiarità con le ragazze del luogo. Con i commilitoni aveva festeggiato sobriamente, il 25 aprile trascorso, il compimento di quell’età.

Rientrando dalla visita a zia Giosiedda Montiju, col milite che gli faceva compagnia, scendendo dagli scalini della stradetta, vide una ragazza, che uscendo dalla chiesa parrocchiale, attraversando verso l’alto la piazzetta scoscesa, sfiorò il loro percorso. Salutò educatamente, rivolgendo verso di loro lo sguardo, e proseguì il suo cammino verso sa Piatta dove i rumori della bottega del fabbro e del falegname si erano attenuati e gli ultimi clienti, delle due negozianti che stavano da un capo all’altro della strada, tornavano alle loro case.

-Chi è questa bella ragazza- chiese al milite, il brigadiere.

-Anghela Nigoleddu- rispose il milite.

-Che se ne dice?-

-Bene, brigadie’! Di lei e della sorella: sono gemelle!

-Immagino che siano già impegnate.-

-Questa no, la sorella pare sia promessa ad un notabile del paese, possidente.-

-Certo non tarderanno a prendersi anche questa. Ha visto che portamento!

-Brigadie’, si sa che le belle ragazze, non tardano a sposarsi!

-Quanti anni potrà avere?-

- Non più di venti!-

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