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Vita quotidiana e morte a Chiaramonti nell’Ottocento. Conclusione del lungo inventario del vicecurato Baingio Cabresu le cui parti sono apparse su questo sito a partire dal 13 aprile 2010. A cura di Angelino Tedde

Scritto da angelino tedde

Premessa:

Per dare l’opportunità ai lettori di riprendere il filo del discorso inseriamo la conclusione del pezzo pubblicato il 31 maggio 2011 e proseguiamo finalmente con l’ultima parte di questo interminabile inventario che, data la memoria ad alternanza della sorella, rischiava di non finire mai e, a quanto si dice nella conclusione, non sappiamo di quante altre cose si sia poi ricordata l’usufruttuaria dei beni del vicecurato che certo non ha praticato la povertà evangelica del curato Satta, fornito di beni più compatibili con la vocazione sacerdotale.

Inutile parlare della fatica di capire il manoscritto giacente tra i libri del Notaio Satta nell’archivio di Stato di Sassari e degl’innumerevoli lotti presenti nelle stanze della casa del vicecurato, degli atti, e dell’archivio mnemonico debitorio della sorella Francesca. Siamo arrivati, grazie a Dio, alla conclusione anche se, nell’inverno scorso le condizioni di salute sono state precarie al punto che rischiavamo di abbandonare per sempre l’inventario, ritenuto “maledetto” perché con la trascrizione di esso, con nostro grande dolore di cristiano, ma con la verità legata ai documenti, abbiamo messo in luce l’affarismo smodato di questo ecclesiastico che sia pure con incredibile confusione tra compravendite, debiti e cause legali deve aver passato la vita ad accumulare beni, forse, più che a darsi all’apostolato tra i chiaramontesi. Che Iddio, nella sua grande misericordia, lo abbia perdonato e che perdoni anche noi che gli “abbiamo letto la vita” e resa pubblica la sua ricchezza (i suoi debiti e le sue liti) a 178 anni dalla sua morte (1833-2011). Noi non l’abbiamo fatto con l’intento di gettargli fango addosso, come si usa fare oggi dai quotidiani e periodici, da piccoli e grandi blog e dagli altri mass media, ma piuttosto per la passione storica che più invecchiamo e più ci divora.

Vita quotidiana a Chiaramonti:

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Vita e morte a Chiaramonti nell’Ottocento. Prosegue la lettura dell’inventario dell’agiato vice vicario Gavino Cabresu Falchi, vissuto tra la fine del Settecento e morto nel 1834 a cura di Angelino Tedde

Scritto da angelino tedde

Dopo un lungo periodo d’interruzione, forse preso dalla stanchezza di trascrivere per i visitatori di Tzaramonte un inventario assai sostanzioso di un ecclesiastico che si è dato da fare, facendo anche da procuratore ad una doviziosa Signora di Chiaramonti, e che si suppone seppellito in Monte ‘e Cheja in una delle quattro tombe della prima cappella a destra, entrando nell’aula della chiesa diroccata, riprendo la lettura su cui gli storici della tradizione e gli antropologi culturali e gli stessi storici dell’economia potrebbero trovare tanto da dire e da commentare.

Io, trascinato per amore del mio paese, un po’ fuori del mio settore, che è quello della storia dell’istruzione e delle istituzioni educative, ora non vedo l’ora di concludere per continuare a pubblicare i regesti degli altri atti dell’Ottocento (1827-1866).

E’ indubbio che sia dai beni mobili che dai beni immobili possiamo dedurre l’agiatezza di questo vice vicario che lascia usufruttuaria di tutto la sorella Francesca ed eredi le nipoti figli di un fratello.

Negli articoli precedenti abbiamo rilevato i lotti esistenti nelle altre camere dell’abitazione del vice vicario, ora ci soffermiamo sui lotti esistenti nella cucina comprendenti utensili e provviste, inoltre sulla consistenza del bestiame e sui beni immobili. Per facilitare la lettura abbiamo inserito tra parentesi il numero dei lotti a volte costituiti da un solo oggetto a volte da più oggetti.

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Vita e morte nell’Ottocento a Chiaramonti. L’inventario nelle altre stanze del vice vicario Cabresu. A cura di Angelino Tedde.

Scritto da carlo moretti

I lotti dell’inventario del vice curato della chiesa parrocchiale di San Matteo in Chiaramonti don Baingio Cabresu (1934). II

Nel precedente contributo sull’inventario del vice vicario Cabresu (1800(?) -1834) abbiamo presentato gli oggetti della camera in cui morì. Ora presentiamo l’inventario di altre tre camere: la prima detta sala, la seconda apposentu, la terza camera al di sotto della sala. I lotti delle tre camere sono rispettivamente 13, 10, 19 in totale 42.  I lotti comprendono lenzuola, utensìli, stoffe varie, e arredamento di vario genere, ma non sono assenti i contenitori delle provviste. Bisogna dire che l’uomo, possidente di beni mobili e immobili non si faceva mancare niente così come l’uso esigeva per il clero che aveva il compito di catechizzare, istruire e pregare per la popolazione. Vorrei ricordare i pilastri del vecchio ordinamento: i nobili per combattere, il clero per pregare, e il popolo per lavorare. A noi, passati attraverso le idee della massoneria, dell’anarchia dei nostri emigrati in Panama (e rientrati), attraverso le idee positiviste e successivamente quelle socialiste del materialismo storico, i beni di questo viceparroco ci danno davvero fastidio. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che all’epoca anche il Papa era Papa-Re di uno stato della penisola italiana. Né possiamo obliare che, tuttavia, all’epoca vissero nel mondo cattolico molti sacerdoti che preferirono distribuire le loro sostanze ai poveri e principi che rinunciarono ai beni terreni per seguire la via della povertà evangelica. E’ evidente che il nostro viceparroco Cabresu non era nato con la vocazione alla povertà come documenteremo più avanti elencando il bestiame, i terreni e le case di sua proprietà.

Siamo nel 1834, regnava nei 6 stati sardi, Carlo Alberto e specie in Piemonte ogni tanto si davano da fare con rivolte e insurrezioni sparuti gruppi appartenenti alle società segrete allo scopo di sovvertire l’ordine sociale per il raggiungimento di un nuovo ordine di monarchia costituzionale o addirittura di stato repubblicano. La borghesia intellettuale e le teste più calde andavano diffondendo queste idee nonostante il controllo dei tutori dell’ordine costituito. In Sardegna, dopo le chiudente del 1820, l’istituzione delle scuole normali in ogni villaggio del 1823, l’approvazione del codice civile e criminale di Carlo Felice del 1827, il governo regio alleato strettamente alla Chiesa mirava a educare e formare buoni cristiani e buoni sudditi. Le assemblee comunitative, il sindaco con due o tre consiglieri, governavano, si fa per dire, la povertà dei più. In Chiaramonti non mancava due o tre volte l’anno l’eliminazione di persone  scomode ai potenti ad opera di sicari o di qualche pastore o contadino colpito nei pascoli, nel bestiame, o nella tenuta dei confini (sas lacanas). Almeno questo narra la tradizione, per quanto siano necessari studi più approfonditi. Del resto delitti di varia origine avvenivano in Europa e negli stati continentali per tanti versi simili a quelli avvenuti in Sardegna e a Chiaramonti come documenta la carta criminale d’Italia tra Otto e Novecento. Non bisogna credere, secondo un pessimo plebeo costume identitario paesano, che il nostro paese fosse uno dei centri più criminogeni della provincia o della Sardegna, a parte le lotte avvenute tra fazioni politiche e famiglie, per motivi economici (contrabbando di cereali e altro) nel Settecento e terminato con le paci promosse dal piemontese gesuita carismatico Giovanni Battista Vassallo.

L’esame attento dei lotti delle varie camere denotano un certo benessere del nostro viceparroco.

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Vita e morte nell’Ottocento a Chiaramonti. L’inventario della stanza di morte del vice vicario. A cura di Angelino Tedde.

Scritto da carlo moretti

Riprendiamo il mesto itinerario del nostro villaggio ottocentesco, attraverso le opere e i giorni dei nostri trisavoli e bisavoli, osservando il loro ciclo della vita e del tempo, i loro affari, i loro atti di fede di fine vita e le loro ultime volontà che li accomuna nel lasciare tutto agli eredi. Nella tomba non portano niente.

Sono seppelliti presso l’oratorio di Santa Croce nel cuore del paese, nel punto in cui il pendio di Codinarasa (432 circa msm) e quello del Monte di San Matteo (470 circa msm) s’incontrano e si saldano in un abbraccio, oppure sono seppelliti presso San Matteo al Monte o nella chiesa del Carmine o nell’oratorio della Vergine del Rosario. E poi la vita continua con gli eredi che disperderanno inesorabilmente quanto gratuitamente ereditarono oppure vi si attaccheranno sordidamente, per lasciare a loro volta tutti i beni ad altri eredi. Gli abitanti di Chiaramonti nascevano, vivevano per un tempo più o meno lungo e morivano. Il loro ricordo in parte si conserva nelle carte ufficiali o private, in parte si tramanda nella memoria storica dei suoi abitanti, ma poi il tempo tutto consuma e stravolge.

Ho fatto una pausa dall’ultimo contributo, immalinconito dall’esame di tutti gli affari e testamenti e sono andato quasi in crisi nella lettura dell’inventario del vice vicario.

Vi confesso anzi che l’ho sognato, sollevarsi scheletrico, in una cappella della chiesa di San Matteo al Monte e con fare lamentoso mi ha detto:

“Hai già detto troppo di me, non pubblicare l’inventario, daresti solo esca agl’increduli tenaci. Tra i lettori non tutti capirebbero come andavano allora le cose e tu, miserrimo, assai vicino alla morte, tra i tuoi tanti peccati, ti porteresti anche quello di non aver rispettato i morti, lasciandoli riposare in pace!”

Nel sogno ho cominciato a tracciare segni di croce sullo scheletro parlante, mentre gli rispondevo: ” Don Baingio, calmati, dirò che, secondo la leggi dell’antico regime, eravate costretti a fruire di un reddito per diventare preti. E poi oggi che cosa possono dire gli abitanti di Chiaramonti? Tutti posseggono una casa, alcuni ne hanno più d’una, altri hanno vigne e campi e ben 132 hanno pecore e altri animali. E chi non possiede animali ha una pensione o uno stipendio e chi non ha niente mangia a carico dei genitori o dei nonni. Che cosa possono dire di te! Calmati. Requiem aeternam donet tibi domine et lux perpetua luceat tibi. Requiescas in pacem! Amen.”

Lo scrocchiare delle ossa dello scheletro parve calmarsi ed io mi risvegliai rasserenato. Ed eccomi a voi sia pure un po’ intimorito a riprendere il filo interrotto del discorso.

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L’eredità problematica del vice vicario Baingio Cabresu Falchi del 30 dicembre 1833 in Chiaramonti.

Scritto da angelino tedde

Il vicario Giovanni Satta detta il testamento nel settembre del 1832, trovandosi infermo, dopo circa 38 anni di cura d’anime in Chiaramonti, del vice vicario non conosciamo l’inizio del ministero, ma conosciamo la data del testamento e quella di morte, dal momento che l’inventario dei suoi beni viene effettuato nel giugno del 1834, quindi dopo la sua morte.

Egli detta il testamento al notaio, ugualmente di notte, alla luce di tre candele, come il vicario, ma con testimoni diversi da quelli del del vicario. In ordine alfabetico si tratta di Casula Francesco, sacerdote, Cossiga Baingio, chirurgo, Migaleddu Baldassarre, Talu Antonio, Tedde Vincenzo, medico. Come si vede i medici abbondano, ma è presente anche il chirurgo, probabilmente per fargli calare la pressione alta applicandogli le sanguisughe. Il medico, nell’allora curriculum universitario, doveva seguire un corso di 6 anni e doveva curare i malati ricorrendo alla farmacopea, mentre il chirurgo seguiva un corso di cinque anni e doveva sempre intervenire con varie operazioni sul corpo del malato. L’uno non poteva invadere il campo dell’altro. Soltanto nel 1857 furono unificati del tutto i due corsi ed ecco perché, quasi un relitto storico, ogni medico anche oggi viene detto medico chirurgo benché non sia deputato a fare operazioni a meno che non sia specializzato in chirurgia.

La formula seguita dal notaio, salvo qualche svarione, segue quella  del vicario e sarebbe superfluo soffermarci ancora su di essa. Il vice vicario vuole essere seppellito anch’egli nella parrocchiale di San Matteo al Monte. I curatori dei funerali oltre che la sorella Francesca sarà anche il nipote Giorgio Falchi. D’altra parte la donna, presumibilmente illetterata, ma non analfabeta come vedremo nella stesura dell’inventario, aveva pur bisogno dell’aiuto del cugino, visto che don Baingio ha una situazione immobiliare problematica, proprio per non dire “incasinata” come volgarmente si dice oggi.

Il nostro dà inizio al testamento disponendo che la nobildonna Anniga Solinas della quale è stato procuratore per tanti anni, saldi i cento scudi dovutigli ai suoi eredi, si suppone intentandogli causa, visto che la donna non glieli ha ancora resi; altra grana è la casa abitata da una sua nipote per la quale questa deve pagare l’affitto.  E siccome, si dice non c’è due senza tre, la terza grana deriva da una casa lasciatagli dalla defunta Giovanna Satta, in stato precario e da lui restaurata con 33 scudi, e per il valore della quale doveva celebrare delle messe, egli dispone che una volta tolti dall’affitto quanto vi ha investito, esso debba essere versato alla Causa Pia, mentre lui si è rifatto trattenendo un terreno che trovasi in località Orria Pizzinna, del valore di 9  scudi come da estimo eseguito dai periti Vincenzo Unali e Vincenzo Fiori.

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Il testamento del vicario di Chiaramonti (1795-1833) Giovanni Satta. A cura di Angelino Tedde.

Scritto da angelino tedde

Per rendere edotti i miei 5 lettori, compreso quello che mi abbassa la valutazione, cliccando sulla stellina meno generosa, a quanto già detto sugli atti dei primi anni Trenta dell’Ottocento, offro la lettura di due testamenti di notevole interesse perché sono del Vicario Satta (1795-1833) e del vice vicario Cabresu (Falchi).

Per questa puntata presentiamo il testamento del vicario.

Il vicario Giovanni Satta fa testamento nel 1832, l’uomo  è talmente malridotto che non riesce a firmarlo. Egli lo detta di notte alla luce di tre candele.

L’altro elemento importante che risalta è la constatazione di testimoni quasi tutti con grado universitario. Li elenchiamo in ordine alfabetico: Cabresu Baingio, sacerdote, Cossiga Gavino, chirurgo, Falchi Sanna Pietro (Cristoforo), (notaio), Ferralis Domenico, baccelliere in medicina, Multineddu Giovanni, presumibilmente maestro d’arte.

La premessa del testamenti è rituale e fa riferimento alla morte, sempre certa, ma incerto il momento in cui questa avviene. Da ciò la determinazione di fare testamento.

Il secondo pensiero del vicario è rivolto a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Sua Santissima Madre, la Vergine Maria, Avvocata dei peccatori davanti al giudizio di Dio.

Si passa quindi all’enunciazione di una grande verità di fede, molto consolatoria al momento della morte: il vicario chiede l’accoglienza dell’anima nella Patria Celeste, non per i pochi  suoi meriti, ma per il Preziosissimo Sangue, sparso durante la Passione e morte da Gesù Cristo, in espiazione dei peccati degli uomini, per sollecitare la Misericordia di Dio-Padre verso l’umanità peccatrice.

Provveduto, quindi, al bene dell’anima, il vicario passa alla scelta della sepoltura ecclesiastica nella chiesa parrocchiale di San Matteo al Monte e alle relative  pompe funebri.

Fatta questa debita e rituale premessa, si passa ai beni della terra e alla loro destinazione, perché questi non si possono portare all’altro mondo.

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Creditori e debitori ovvero acquirenti e venditori a Chiaramonti dal 1832 al 1834. L’attivissima Contessa di Sant’Elia e il continuo arricchimento di Pietro Canu. A cura di Angelino Tedde.

Scritto da angelino tedde

Questo protocollo consta di 103 fogli contenenti 48 stromenti.

(Esso va dal 1832 al 1837, in questo articolo ne prendiamo in esame 23, che vanno dal 1832 al 1834. Ndr ).

Questa volta, per una maggior visibilità di lettura, elenchiamo da prima gli attori degli atti, testamenti e attori d’inventario compresi, e successivamente le controparti.

Possiamo rilevare subito che tra i venticinque attori, (comprese fratelli e sorelle Satta e Mureddu Perinu), i nobili sono i cavalieri Caccioni di Chiaramonti e Scanu di Martis; tra i sacerdoti, emergono i testatori Satta, vicario, e il suo vice  Cabresu,  il sacerdoti Vincenzo Pietro Tedde; è defunto il sacerdote Bachisio Usai del quale si apre il testamento.; passando ai borghesi c’imbattiamo di nuovo con l’agricoltore Antonio Carlo Franchini, col falegname di sicura origine romagnola o lombarda, Battista Termali, (il Bogino aveva spedito in Sardegna falegnami, fabbri, e altri artigiani e professionisti di cui l’Isola era carente, si veda a riguardo su “accademia sarda” l’articolo di Prof. Paolo Amat di San Filippo), per la prima volta incontriamo il  pastore Leonardo Solinas. Fra i notai segnaliamo Pietro Falchi Sanna. Segnaliamo anche numerose donne, spesso sorelle dei defunti o venditrici, in particolare richiamiamo l’attenzione su Paola Fiore Demuru di Tempio, ma sposata e residente a Chiaramonti che lascia i beni ai figli. I nomi e i cognomi sono presenti ancora oggi a Chiaramonti. Forse non ci sono più i Cabresu, discendenti del vice vicario, a mezzo sorella. Per maggior utilità li indichiamo per cognome in ordine alfabetico Busellu Andreuzza di Martis, Cabresu Baingio, sacerdote, viceparroco, Caccioni Giovanni, cavaliere, Falchi Sanna Pietro, notaio, Fiore Demuru Paola, (2) di Tempio res. Ch.monti Franchini Antonio Carlo, agricoltore, Migaleddu Sanna Maria,  Mureddu Perinu Filippo, Mureddu Perinu Salvatore, Pinna Francesco, Satta Agnetta, Satta Bachisio, Satta Cuadu Battista, Satta Francesco Antonio, Satta Giovanni, (2) vicario parrocchiale, Satta Pietro, Satta Tedde Antonina, Satta Tedde Caterina, Satta Vincenzo, Scanu Gianmaria, Scanu Salvatore, cavaliere di Martis, Solinas Leonardo, pastore, Tedde Pietro Vincenzo, sacerdote, Termali Battista, falegname, Unali Meloni Giacomo, Usai Bachisio, sacerdote, (testamento),  Usai Stefano, di Sassari.

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