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Il presepio dei sette anni di Achille Campanile

Scritto da carlo moretti

Al presepio Luca cominciava a lavorare parecchi giorni prima di Natale e la preparazione di esso si svolgeva in un’atmosfera di guerra, del tutto in contrasto col carattere idillico della pia bisogna. Le prime scaramucce avvenivano quando, un paio di settimane avanti la Vigilia, si tiravan fuori gli accessori conservati dal Natale precedente. Tutti rotti o malandati. Bisognava far quasi tutto nuovo. Il che dava modo a Luca di tuonare contro il disordine della casa. Dopo di che s’aprivan le ostilità per la scelta del luogo.
I primi anni, questa era caduta su un angolo della stanza da pranzo, ma, in seguito alle proteste della mamma per gli sbaffi di pittura e gli strappi che poi restavano sul parato, il Presepio, snidato e incalzato di stanza in stanza fini in un angolo dell’anticamera dove, a causa della semioscurità del luogo, fu talvolta sommerso dai cappotti dei visitatori; i quali poi se ne andavano bianchi della farina che serviva a far la neve.
Terza operazione bellica: manu militari, Luca requisiva in cucina la spianatoia della pasta, che doveva servire da base al Presepio La cosa non avveniva senza le più alte strida della vecchia e combattiva fantesca, la quale tentava di contender l’oggetto al padrone, in un tira e molla che attingeva momenti d’alta drammaticità. Ciò perché, nonostante Luca assicurasse che, dopo il Presepio, avrebbe restituito intatto quell’accessorio indispensabile per la pasta fatta in casa, a cose avvenute la spianatoia tornava in cucina con una vasta zona verniciata in verde (prati) e irta dei chiodi serviti a fissare ponticelli, alberi e rocce; chiodi la cui sola vista, all’idea d’impastare a mani nude, faceva raggricciar le carni. La vernice verde era percorsa da serpeggianti strisce di vario colore, che rappresentavano le strade di grande comunicazione e i principali corsi d’acqua della Palestina. Ormai su quella spianatoia sarebbero venute soltanto lasagne verdi, a causa della vernice.
Il problema laghi veniva risolto col sistema degli specchietti, da Luca che, novello Paleocapa, riusciva a dotar la regione d’un sistema idrico mirabile. Poiché i laghetti fra il muschio erano di facile e bell’effetto, egli forse ne abusava un po’, coi risultato di trasformare la zona di Betlemme e dintorni, notoriamente un po’ arida, in una specie di regione dei laghi, quasi una Finlandia. Questo l’obbligava a dar la caccia a tutti gli specchietti di casa e particolarmente a quelli d’una servetta che poi, riuscendo monotona una regione di laghi perfettamente tondi o quadrati, doveva assistere con un leggero pallore alla rottura di quei fragili oggetti, di cui Luca, ridottili a pezzettini, si serviva anche per effetti di cascatelle.
Le rocce erano ottenute con l’acquisto, nella vicina cartoleria, d’un certo numero di fogli d’imballaggio e con l’uso di vecchi giornali che, appallottolati, ammucchiati e ricoperti dei suddetti fogli sapientemente spiegazzati, figuravano le montagne.
Provvedutosi alla sistemazione orografica, non restava che popolare il paesaggio. Come in tutti i Presepi, non era chiara l’ora, in quanto vi si, vedevano contemporaneamente gruppi che gozzovigliavano all’osteria mangiando spaghetti, talvolta con le mani, greggi che pascolavano, pecorelle nel chiuso addormentate, stelle in cielo, qualche donna che lavava i panni nel torrente. ” A quell’ora? ” direte. A quell’ora.
li Presepio era affollato di strani nottambuli se, come pareva doversi dedurre dalla presenza delle stelle, era notte: persone affacciate alla finestra, una ragazzina che guidava le oche con un giunco, un maialino che grufolava nel trogolo, una vecchia all’arcolaio, un contadino con l’asino, che andava evidentemente al mercato, un arrotino che arrotava, un panettiere che sfornava, un pizzaiolo che faceva pizze.
Insomma, si facevano cose che solitamente si fanno in ore diversissime l’una dall’altra. E tutto, meno che dormire. Quella era una notte in cui non dormiva nessuno, a eccezione di poche pecorelle. C’erano persino comari che conversavano da un balcone all’altro. E, cosa straordinaria, tra greggi e grotte, s’ergeva anche qualche sontuoso palagio con colonne e peristili, ma in parte già allo stato di rudere. Ed antri muscosi, e fori cadenti.
A confonder vieppiù le idee circa ora, contribuiva il contegno dei pastori, dei quali v’era una straordinaria quantità e varietà. Uno con la pecorella sulle spalle, un altro che portava sulla testa una piccola paniera con ricottine, un terzo steso a meriggiare con la siringa o il sufolo sulle labbra, un quarto che, benché per molti altri fosse notte fonda, faceva ostinatamente solecchio con la mano sulla fronte, a ‘ripararsi dai cocenti raggi d’un sole, che non c’era.
Non mancavano un cacciatore col fucile e il cane, né qualche cane da solo, acciambellato o abbaiante, né giocatori di carte e di dadi all’osteria, sonatori di fisarmonica, zampognari. Nell’insieme, una specie di notte di San Giovanni.
A mezzanotte i ragazzi portavano in processione il Bambino Gesù, cantando in coro:
Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo…
Da allora, ogni giorno i re Magi venivano spostati d’un pezzettino, in modo che mettevano esattamente quindici giorni a percorrere da un capo all’altro la spianatoia della pasta, dovendo arrivare all’imboccatura delle grotta sacra il giorno della Befana, coi doni (donde la tradizione dei doni della Befana, da Roma in giù molto più viva che quella dell’albero di Natale).
Disfatto il Presepio, all’indomani della Befana, i pupazzi venivano riposti per l’anno successivo.
La prima volta che fece il Presepio, Luca ignorava che, giusta una diffusa credenza, bisogna poi farlo per sette Natali di seguito, pena le più gravi disgrazie familiari; strano miscuglio di fede e di superstizione. Quando lo seppe, Luca impallidì. Non era un tipo scioccamente superstizioso, anzi non credeva a queste storie e lo proclamava altamente. Ma, dato il gran numero di guai che avevano sempre caratterizzato la sua esistenza, pensava fosse meglio non mettere, come suol dirsi, la salute in questione; meglio evitare. Cosi, continuò a fare il Presepio per sette anni.
La cosa andò liscia per i primi Natali, e precisamente finché egli fu sorretto dall’incondizionata ammirazione dei ragazzi, finché i suoi Presepi ebbero in questi un pubblico entusiasta. Ma, crescendo, essi cominciarono a poco a poco,a restar freddi, di fronte agli specchietti coronati di muschio, alla cometa ritagliata nella stagnola, e a manifestare, pur senza confessarlo, qualche scetticismo, nei confronti del cotone idrofilo e della farina in funzione di neve. Invano il padre cercava di galvanizzarli, di comunicar loro un entusiasmo che ormai non era più sincero nemmeno in lui.
” Guardate com’è bello questo pastore estatico ” diceva. Era un’anima d’artista, un esteta e cercava di scoprire il bello anche in umili opere artigiane.
I ragazzi fingevano di ammirare, per fargli piacere, per non disincantarlo nei riguardi del Presepio. Ma alla fine furono costretti a gettar la maschera, si disinteressarono di esso e cominciarono addirittura, a un certo punto, a presenziare con fatica alle solennità familiari.
Cosi il padre, verso gli ultimi dei sette anni, finì per fare il Presepio da solo e quasi pro forma, per un cortese dovere, per non restare con lo scrupolo di non aver fatto tutto quanto fosse in suo potere al fine di scongiurare qualcuno almeno dei guai di cui la sorte gli fu sempre prodiga.
Approssimandosi il Natale, riacciuffava la spianatoia della pasta, ma senza la balda combattività d’una volta. Si capiva che ormai lo faceva a freddo. Ritirava fuori i vecchi pupazzi e li disponeva in fretta, a caso, perfino, molto approssimativamente, tanto per non saltare un’annata, sempre per quella storia dei temuti sette anni di guai. E si videro, talvolta, strani accostamenti: gallinelle nel chiuso e pecore nel pollaio, l’eremita che spuntava dal pozzo, un cammello all’osteria, il mendicante sul tetto, l’arrotino sul balcone e i re Magi nel torrente.
Inoltre, come s’è detto, da un anno all’altro più d’un pezzo si rompeva. Ma ormai visto il disinteressamento dei ragazzi, il padre non aveva più nessuna voglia di comperare pezzi nuovi. Cosi finirono per vedersi in casa Presepi sempre più affollati di pastori zoppi, osti con una gamba sola, o senza braccia; la cometa aveva la coda molto spelacchiata, l’asino l’aveva perduta addirittura, il bue era mutilato d’un corno, si vedevano cammelli a tre gambe e le persone all’osteria invano tentavano di portare alla bocca gli spaghetti, visto che erano senza testa. Di qualche pecora erano rimasti solo mezza pancia, o i quarti posteriori, e San Giuseppe somigliava a San Giovanni Decollato. Insomma, un Cottolengo.

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