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Le domus de janas di Su Murrone di Salvatore Tola – La Nuova Sardegna del 01.08.2011

Scritto da carlo moretti

Chi cercava una guida dettagliata agli antichi monumenti dell’isola l’ha appena trovata nella collana «La Sardegna. I tesori dell’archeologia» che «La Nuova» sta finendo di pubblicare in questi giorni. Nei dieci volumi che le danno corpo sono descritti infatti non solo i «pezzi» più noti di questa grande collezione a cielo aperto, ma anche altri meno celebrati, o messi in luce di recente.

Come le domus de janas di Su Murrone. Sono in territorio di Chiaramonti, ma per vederle non è necessario arrivare al paese.  Al chilometro 19 della Sassari-Tempio si apre la deviazione per Su Bullone. Si percorre un chilometro e mezzo di una stradella sino a quando, in una leggera discesa, si divide in due per poi ricongiungersi a fondo valle: nell’area al centro si trova la necropoli, che è stata scavata alla fine degli anni Novanta.  In origine c’era un banco di trachite in leggero pendio, cosa che gli scalpellini hanno dovuto scavare dei corridoi per poter disporre di una parete frontale nella quale aprire l’ingresso, e procedere poi allo scavo dei vani interni. L’esame dei reperti ha dimostrato che le sepolture sono state inaugurate nel corso del Neolitico recente, che va dal 3300 al 2500 avanti Cristo, e riutilizzate poi a più riprese, nelle Età del Rame e del Bronzo antico, sino all’epoca romana.

Le tombe messe in luce sono tre, tutte del tipo «centripeto», ossia con una camera principale sulla quale si aprono gli accessi alle sepolture singole. La più grande è quella detta «Tomba I». Si riconosce perchè a fianco del portello d’ingresso è scavata una nicchia, come per custodire una piccola statua. L’entrata è ristretta, ma vale la pena di compiere le manovre necessarie per vedere il soffitto del vano maggiore: riproduce infatti il tetto di un’abitazione dei vivi, con la trave centrale e tutte le travi minori laterali.

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  1. Angelino dice,

    Ho incontrato il bravo e amico Salvatore Tola, in motocicletta, mentre con mio figlio Matteo, amante dei Safari fotografici, tornavo dalla domus di cui qui si tratta e lui vi si recava. Aggiungerei che quando la visitai con il dirigente scolastico Gianni Marras il 17 marzo scorso erano colme d’acqua e impraticabili
    e anche quando qualche settimana fa vi andai con mio figlio di acqua ce n’era ancora. Non sarebbe il caso di farla defluire con appositi canaletti praticati dagli archeologi? Purtroppo ” gutta cavat lapidem” e col tempo la preziosa necropoili, descritta e studiata dall’archeologa Peppina Tanda tanti anni fa, potrebbe degradarsi.
    Angelino Tedde

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