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Amare Chiaramonti: case nei declivi delle colline.

Scritto da angelino tedde

Certamente il rione de sa Niera è andato sviluppandosi tra Otto e Novecento, dato che la caserma risulta coeva alla Casa Comunale-Scuola edificata in Pala ‘e Chercu e non lontana da s’Ulumu, nel 1874. Entrambi questi edifici, in via di restauro, offriranno servizi culturali utili allo sviluppo turistico-culturale del paese, dal momento che sembra che nel primo dovrebbe rifiorire la Biblioteca e nel secondo il Museo etnologico del mondo contadino e pastorale.

Non mancano all’interno dell’area urbana le chiese: l’oratorio del Rosario, forse costruito a metà del Seicento e la chiesa del Carmelo coeva all’abbattuto seicentesco Convento del’Ordine dei Carmelitani di antica osservanza, le cui carte sono a disposizione presso la Biblioteca dei Beni Culturali di Sassari (Universitaria).

Alle appendici del Monte de Cheja si trova la chiesa di San Giovanni, edificata ai primi del Novecento. Queste tre chiese, oltre alla parrocchiale di San Matteo, offrono ai compaesani del primario agglomerato urbano l’occasione di meditare sui nostri santi patroni durante il ciclo liturgico, ma all’occorrenza possono essere utilizzate per convegni e manifestazioni musicali. D’estate, qualche volta lo si è fatto, offre ampio spazio anche l’aula della chiesa di San Matteo del monte con il suo fascino seicentesco e l’essere collocata proprio sull’area di sedime del Castello dei Doria.

Il vasto spazio offerto dall’area miocenica dell’antico castello potrebbe offrire l’opportunità a manifestazioni in costume quando la brava Iolanda Dennanni dal suo laboratorio avrà offerto l’occasione a molti di acquistarlo. Non parlo solo dei costumi spagnoleggianti, ma anche di quelli dell’antica Repubblica di Genova che vengono utilizzati in varie occasioni a Oristano dove i Doria, signori di Chiaramonti, si legarono con patti matrimoniali alla casa giudicale regnante.

Dimenticavo, da chiaramontese dimentico della periferia, che oggi anche presso il rione della settecentesca Croce, o forse novecentesca, dipende se è stata piantata dal missionario gesuita Giovanni Maria Vassallo ai tempi di donna Lucia o probabilmente in occasioni delle prime missioni vincenziane ai primi del Novecento.

Anche questo rione ha la sua chiesa, grazie alla famiglia Moretti che ha concesso l’area e alla generosità dei chiaramontesi che hanno voluto dedicare il tempio a Cristo Re. Il rione La Croce, denominato da alcuni decenni La Madonnina, si sviluppa lungo il pinanoro miocenico che conduce fino alla località Sa Loca dove precipita dolcemente verso Pianu ‘e Pudderigos, autentica feconda piana del territorio chiaramontese.

Per concludere, il nostro amato paese, si è andato sviluppando col benessere non solo nelle appendici delle tre colline, ma anche nel pianoro della Madonnina un tempo Codinas, vasta aia in cui i nostri nonni ci hanno lasciato numerose immagini della trebbiatura e che noi fanciulli abbiamo visto in attività.

La più potente attrazione. se così puo’ dirsi, era la trebbiatura del granoturco i cui tutoli attiravano la nostra attenzione perché ci erano utili a predisporre i carri da buoi di giocattoli insieme alle pale di ficodindia e alle canne che servivano per predisporre il piccolo carro. Allora La Croce diventava un’attrazione fatale per noi bambini, ma anche causa di molte punizioni da parte delle mamme. Andare da soli a 4 anni fin lì era un azzardo per le nostre mamme alla stessa maniera con cui lo era andare a more a mezzogiorno o giocare nei vicoli bui nelle sere estive.

La mamma del sole e l’anima di Chiribàu erano sempre appostate per ghermirci in stato di disobbedienza. Tornando al rione da me prediletto perché vi abitavo in una casa costruita dal mio bisnonno Antonio, sicuramente negli anni Cinquanta dell’Ottocento, luoghi di gioco erano la piazzetta retrostante la Caserma della Benemerita, ma anche la Piatta ‘e Littu, chiamata Caminu ‘e Littu. Si giocava soprattutto nelle vie, mentre le campane, dirette da esperti campanari giovani o anziani, ci accompagnavano nelle ore cruciali del giorno e della notte battendo le ore.

Ricordo e risento ancora l’invito alla preghiera dell’Ave Maria di mezzogiorno e di sera; l’allegrezza dei loro rapidi rintocchi nei giorni di festa per annunciare le Sante Messe o le processioni. Anch’esse facevano parte del paesaggio e del concerto urbano accanto al martellare sull’incudine dei fabbri, ai caratteristici ritmi delle seghe dei falegnami e dei carpentieri.

Questo è per me amare Chiaramonti nel suo crescere ed evolversi come centro urbano e nel suo paesaggio fatto di case piccole, di porte con lo spioncino, di finestrelle, di piazzette, vicoli e patii, di fabbricati status simbol delle autorità. Ogni casa, per il suo stile e per la tecnica costruttiva poteva parlarci, e ci può tuttora parlare, basta guardarle con le reminiscenze della storia dell’arte, degli eventi, delle architravi, dei portoni, dei conci e delle angolature in trachite di vario colore. L’agglomerato urbano già da solo ci potrebbe raccontare dei chiaramontesi costruttori audaci delle loro case arroccate lungo le pendici delle colline che come un gregge al pascolo hanno messo radici sui loro fianchi e più tardi sui pianori miocenici.

Angelino Tedde

(II continua)

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