9
mar
2012
9
mar
2012
8
mar
2012
8 marzo 1908, Stati Uniti. L’assenza di sistemi di sicurezza e le pessime condizioni di lavoro causano un grave incendio nell’industria tessile Cotton, una fabbrica ad alta concentrazione di lavoratrici. Nelle fiamme perdono la vita 129 donne, rimaste imprigionate nella fabbrica: Mr. Johnson, il proprietario, usava chiudere le porte durante l’orario di lavoro, per impedire agli operai di uscire.
In ricordo della tragedia, sin dagli anni immediatamente successivi al suo accadimento, negli Stati Uniti si organizzano celebrazioni per commemorarla.
Presto l’importanza di questa data, 8 marzo, varca i confini americani: si diffonde in tutto il mondo grazie alle associazioni femministe e diventa il simbolo dei maltrattamenti che la donna ha dovuto subire, ma anche il punto di partenza del proprio riscatto.
Nel secondo dopoguerra l’UDI, Unione Donne Italiane, sceglie un fiore per questa ricorrenza: la mimosa, profumatissima e impalpabile, povera e selvatica, ma che subito si carica di una precisa connotazione politica. Sin dal momento della loro scelta, i grappoli gialli delle mimose diventano il simbolo delle donne e del loro combattere insieme.
5
mar
2012
Chissà si forrojende in sos alzìos,
inue sos ranzolos a iscampiàdas
s’an tessidu tramas e afficos,
pot’agattare, a oros chena biccos,
retrattos de cuddos giajos mios,
ch’in ammentos no appo
nè in fentòmos.
E l’ app’a isterrer
sas pijas ischizidas
pro ch’’ider intro
su risittu cuadu,
in prammu ‘e manu
un’iscutta torradu
a connoscher de nou
lughe ‘ia.
2
mar
2012
Capitolo 4
Interferenze corse in documenti dei secc. XIV-XV
Sotto il profilo storico la questione della colonizzazione còrsa della Sardegna settentrionale è rimasta a lungo inesplorata. Soltanto di recente una serie di studi sta mettendo in luce una realtà che era sottesa da una salda presenza linguistica 54. In realtà una forte presenza dei còrsi è attestata, per la città di Sassari, fin dai secoli XIV-XV 55.
L’epigrafe di Santa Vittoria del Sassu (v. cap. 5) in apparenza sembrerebbe rappresentare un documento avulso da un contesto linguistico che finora gli studiosi avevano ritenuto caratterizzato dalla presenza del solo logudorese.
In realtà è sufficiente gettare uno sguardo attento su alcuni documenti bassomedievali per rendersi conto che il còrso vigeva da tempo nel settentrione sardo e che forse in alcune zone stava già soppiantando la lingua originaria. Sotto il profilo fonetico non è difficile dimostrare che diversi prestiti del dialetto gallurese furono acquisiti prima del ’500. Basti pensare a risoluzioni come dècchitu “elegante” dove la velare sorda, al pari dell’identica forma del moderno logudorese, si è cristallizzata senza seguire la regolare evoluzione k > g. La forma gallur. suiɖɖátu “tesoro nascosto” risulta più arcaica rispetto allo stesso logud. siɖɖádu. Essa parrebbe derivare dal logud. ant. sigillu evolutosi fin dal Duecento in siillu col regolare dileguo della velare sonora intervocalica 56.
È da quest’ultima forma che potrebbe essersi svolto il gallur. suiɖɖátu con cacuminalizzazione della liquida intensa e dissimilazione i-i ~ u-i delle due vocali iniziali trovatesi in contatto per la caduta della precedente -g-. La relativa trafila sarebbe la seguente: logud. ant. siillu > *siillatu (> logud.mod. siɖɖádu) > gallur. suiɖɖátu. Tuttavia, gall. suiddatu può costituire, più probabilmente, una variante dileguata di crs. oltrm. suviɖɖátu (Sotta).
Un altro esempio può essere fornito dall’avverbio chizzu [’kits:u] “presto, di buonora” che non può derivare dal logud. moderno chitto. La base è rappresentata infatti dal logud. ant. kitho < CITIO per CITIUS 57. Ora, siccome la forma logudorese moderna si è sviluppata verosimilmente entro la metà del XV secolo 58, si deve ritenere che anche la variante gallurese sia insorta entro il medesimo periodo storico.
Allo stesso modo si possono portare ulteriori prove che il còrso era vitale in Sardegna durante il Trecento e forse anche nel secolo precedente. Questa ipotesi appare valida soprattutto per le colonie còrse che dovevano essersi stabilite nei maggiori centri della Sardegna settentrionale e nei capoluoghi delle curatorie (Sassari, Sorso, Castelsardo, Tempio, Terranova). Sia sufficiente citare il suffisso –ára che compare in toponimi importantissimi come Limbara, Tavolara, Molara, Asinara, alcuni dei quali sono documentati già nel basso medioevo. Si tratta di un caratteristico suffisso còrso attestato, appunto, anche nella Sardegna settentrionale 59.
29
feb
2012
E’ stata così colorata come la vedete in foto, la oramai tradizionale sfilata carnevalesca chiaramontese, con sette carri allegorici. Chiedo venia agli amici nulvesi con la Papamobile presente domenica, ma non sono riuscito a reperire una foto. Se qualcuno ne avesse una a disposizione si faccia avanti.
Un veliero, con una ciurma di tutto rispetto e tanti giovanissimi pirati pronti all’arrembaggio dei viveri preparati per la merenda (naturalmente con il permesso del capitano Jack Sparrow), una marea di topolini con rispettive fidanzate (minni), una banda di duri gansters pronti a far fumare le pistole e i mitra in compagnia di tante ragazze in abito da sera, un simpatico quanto fornitissimo carro di cibarie locali bene in vista e disponibili a tutti, il grosso cactus del programma “Colorado” (anche se Belen R. non si è vista), un toro pronto per l’atto finale della corrida e gli amici di Nulvi con la loro papamobile e prelati al seguito.
Una bella sfilata in “tono” come non si vedeva da anni, colorata e spensierata in barba, forse per non pensarci, alla crisi che in questi ultimi tempi sta stringendo la nostra nazione. E forse per esorcizare quella “monotonia” che non piace ai nostri politici, i chiaramontesi hanno dedicato la manodopera al carnevale per due serate di divertimento accolte in piazza, sempre con cibarie, frittelle e buon vino dalla Pro Loco di Chiaramonti e i suoi collaboratori.
Ottimo lavoro anche per la neonata Consulta Giovanile, che si è presa l’onere di organizzare le serate di ballo per i bambini all’ex scuola media e nella Sala Fontana, domenica e marterdì sera dopo la festa in piazza.
(E’ possibile vedere le foto a tutto schermo cliccando sopra le miniature)
9
feb
2012
Articolo tratto dalla Nuova Sardegna del 09.02.2012 di Letizia Villa
Il Comune ha richiesto la selezione di due collaboratori amministrativi in possesso del diploma di scuola media superiore. Le domande di partecipazione vanno presentate entro il 21 febbraio al Centro dei servizi per il lavoro di Castelsardo, via Vespucci 14 – Cap. 07031 – tel. 079 470003 – fax 079 479813.
Sede di lavoro sarà il Comune. I requisiti richiesti sono la residenza nel Comune, l’età minima di 18 anni e l’uso del computer. Per partecipare alla selezioni occorre presentare al Csl il certificato Isee 2010.
3
feb
2012
Appena il cielo iniziò a schiarire il pretore di Vulvu col brigadiere e con due militi lasciarono la caserma a cavallo diretti al rio Filighesos presso la domus sulla roccia rossastra per rimuovere il cadavere dell’archeologo miramontano Antonio Pedde, vegliato nella notte da un milite e dal pastore Mudulesu del Nuraghe Aspru. Ci vollero due ore di cammino per raggiungere la località, lanciando di tanto in tanto al trotto i cavalli. Passati davanti alla chiesa di Santa Maria Bambina, detta anche, de Aidos, raggiunto il rio Giunturas, che in altimetria degrada almeno duecento metri da quella del paese, posto a 450 metri sul livello del mare, giunsero a sa Punta de sas Tanchittas e via a spron battuto verso il rio Filighesos.
I due custodi del cadavere si erano svegliati presto e avevano preparato due fascine di cisto su cui legarlo. Il brigadiere, il pretore e il milite, appena raggiunta la domus, diedero l’ordine di calare dalla grotta il cadavere dell’archeologo. Due militi col pastore Mudulesu entrarono nella grotta, sollevarono il cadavere ormai freddo del morto, lo poggiarono sulla fascina di cisto e lo legarono con robuste corde. Farlo uscire da quella porticina non fu facile e poiché il morto era a braccia aperte, chiesero al pretore l’autorizzazione di spezzargli le braccia, per piegarle in forma rituale e trasportarlo fuori della grotta. Mudulesu, il più esperto uscì per primo dalla domus e si ancorò agli spuntoni esterni, così da supportare energicamente la fascina di cisto e orientarla correttamente, mentre i due militi la spingevano fuori, tenendo da un capo all’altro, con due corde, il cadavere e la fascina a mo’ di barella. Il cadavere scivolò così fino a toccare terra dove l’altro milite e il brigadiere la spostarono in modo tale che il pretore potesse osservare il poveretto. Il magistrato notò subito il marchio sulla fronte e al lato destro della tempia abrasioni medie, guardando per i fianchi osservò che l’abito era rotto da una larga fessura attraverso la quale si notava l’effetto d’una stilettata che aveva procurato al morto un’evidente emorragia. Capì subito che l’uomo era stato pugnalato di fianco dall’assassino, steso con un colpo contundente alla tempia e poi marchiato in fronte con il marchio di una protòme taurina arroventata. Volle vedere anche la bisaccia e notò subito i ferri del mestiere: una cazzuola, una piccozza, un martello, uno scalpello e poi una sacchetto con due boccette ripiene una certamente d’acqua e l’altra d’olio, più tre crocifissi; nell’altra tasca della bisaccia vi era del pane del formaggio e un pezzo di lardo. Il pretore divenne nervoso per lo spettacolo raccapricciante a cui pure era abituato e, sigillata con due corde le sacche della bisaccia, diede ordine di trasferire il cadavere oltre il fiume e condurlo in alto nei pressi de s’istrampu del rio, dove il porcaro Zulianu, servo di Mudulesu, aveva approntato un carro da buoi, per condurre il cadavere in paese. Il pretore impartì l’ordine di partire e si rassegnò a seguire quel rozzo carro funebre trainato da buoi. Passarono due ore e mezzo prima di raggiungere, nei pressi di Codinas, sa Punta de Bona Notte. Dopo una breve sosta il carro continuò verso Caminu de Litu e quindi in via Garibaldi, fino alla casa del morto, dove le donne cominciarono un tristissimo lamento senza ottenere la restituzione del caro estinto che per legge doveva essere condotto nella camera mortuaria del Camposanto, per essere esaminata dal medico legale di Vulvu dr. Donaru, che aveva sostituito il vecchio dr. Pische, dopo l’assassinio di Maria Giusta Molinas, Anna Maria Brinca e il sicario.