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Il marchio della Protòme Taurina – V. Le chiacchiere del paese sull’archeologo assassinato di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Il pretore di Vulvu accolse il milite della stazione di Miramonti giunto a cavallo per la triste notizia dell’archeologo assassinato.

-In quale domus l’hanno accoppato quest’ impiccione?-

-Presso il rio Filighesos, quella domus delle roccia che fa parete alla sponda opposta venendo da Miramonti.-

-Uh, ho capito, perbacco, sempre nel Sassu avvengono i delitti nel vostro territorio. Bella galoppata, mi tocca fare, ma per il Re e per l’Italia attenda che vengo subito, naturalmente non oggi, ma domattina ci si muove da Miramonti. Vengo a pernottare nella vostra caserma e domani mattina presto si va sul posto.-

Il pretore chiamò un inserviente, fece sellare il suo cavallo e seguì malinconicamente il milite, dicendosi che aveva scelto un bel mestiere, quello del becchino, ah, avesse potuto cambiare, lo avrebbe fatto volentieri. Accidenti agli archeologi e ai miramontani, gentaccia, abigeatari, omicidi, omertosi, incivili tutto sommato.

Il sole aveva oltrepassato il mezzogiorno da un bel pezzo e i due marciavano tra mulattiere e sterrate che portavano a Miramonti col sole in faccia, tanto che i due cavalli, a tratti s’infastidivano.

In paese tutti sapevano tutto o s’inventavano almeno una parte di tutto. Per alcune donne e i loro uomini fit lantadu a balla (ucciso a pallettoni), per altre si era sfraccellato cadendo dal costone roccioso di rio Filighesos, per altre sicuramente gli spiriti delle domus lo avevano ammazzato per soffoccamento., anima mia libera! I bambini dai quattro anni in su ascoltavano i genitori in casa e fuori ,per la strada le chiacchiere dei vicini e, purtroppo, si preparavano ad una notte d’incubi. A sa Niéra dove si piangeva il morto la maggior parte delle donne si erano recate ad abbracciare la moglie e le due figlie e di tanto in tanto una delle tre in lutto si lasciava andare ad un lamento.

Poi anche le voci si erano attenuate e la notte più nera del solito era scesa a coprire fortune e miserie dell’antico borgo medievale.

Il vicario, con la candela accesa sulla scrivania, vegliava in preghiera e si percuoteva il petto per l’incapacità di condurre il suo gregge a Dio. Prima di mettersi a letto cominciò a domandarsi chi poteva aver ammazzato l’archeologo Pedde. il più caro a Giuanne Ispanu e il più anziano di tutti quelli che Miramonti nutriva a pane e lardo. Poteva trattarsi di una vendetta, ma con quale scopo? Gli è che quando il demonio s’impossessa di un’anima non va tanto per il sottile e al momento di massimo dominio la induce al peggiore dei peccati: un fratello che uccide l’altro fratello.

Si addormentò con la corona del rosario sul petto, ma i suoi sogni furono turbati da visioni infernali: gli sembrava di trovarsi davani a San Pietro e un diavolo cornuto lo accusava di non aver fatto un bel niente per le anime di Miramonti, anzi, perdendo spesso la pazienza li aveva allontanati dalla frequenza in parrocchia, e lui a difendersi…Finché l’incubo non si dileguò e dormi in serenità.

In caserma, invece, il brigadiere, ormai tanti anni a Miramonti, con i militi si domandava chi poteva avere interesse ad uccidere Antonio Pedde che, a parte le arie per la passione di archeologo, era una brava persona e migliore sarebbe stata se non avesse assunto a tratti un atteggiamento di sufficienza nei confronti degli altri archeologi che, per questo motivo, lo detestavano. Mentre si scambiavano queste impressioni giunse il pretore con un altro milite. Gli diedero la camera predisposta per lui che non volle nemmeno ascoltarli e dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo se nera andato a dormire, già affaticato, per quanto lo attendeva il giorno seguente.

La moglie di Mudulesu, saputo che il marito con un milite avrebbe pernottato nei pressi della domus ormai tomba del morto ammazzato, portò loro un pò di minestrone di verdure per riscaldarsi, due stuoie e una coperta di lana da lei lavorata al telaio, e si congedò da loro tornando a casa con l’animo gravato dal peccato che aveva compiuto nella mattinata con l’amore mancato. Prese il rosario e cominciò a dirselo, chiedendo perdono a Dio per quella mancanza e promettendo che un peccato del genere non l’avrebbe più commesso.

Nella radura rane e grilli, cani e volpi facevano sentire i loro strani guaiti, mentre le pecore e i maiali, raccolti negli ovili venivano guardati nella notte da occhi rivolti al buoio, solo le stelle parevano ignorare il trambusto delle cose che avveniva a Sassu Altu. Il mondo era andato sempre così e diversamente non poteva andare finché pastori e animali si aggiravano in quell’immenso tavolato miocenico che offriva la sua vista a Miramonti e poi precipitava rovinosamente nel costone in su campu de Utieri dove il grano andava assumento colorito giallo e i fiumi e i ruscelli tendevano al magro.


Il marchio della Protòme Taurina – IV. Agitazione a Miramonti per l’archeologo ammazzato di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

Giommaria Mudulesu, di solito tranquillo, mentre scendeva da Sassu Altu verso Chirralza e il rio Filighesos, non riusciva a capire perché si era tanto agitato, ma il presagio di qualche disgrazia gli attanagliava l’animo. Affrettò il passo e raggiunse il rio Filighesos, lo attraversò nel tratto più magro e raggiunse la domus de janas sulla parete della roccia rossastra, si arrampicò sugli spuntoni, non prima d’aver colto un pò d’erba secca per illuminare la domus, raggiunse l’imboccatura quadrata di quella che era detta casa delle fate e non tomba delle genti prenuragiche, e ci si buttò dentro.  Con le pietre focaie che non abbandonavano mai le sue tasche e con quel pò d’erba secca, accese un minuscolo falò, e orrore, gli uscì dalla gola un grido  strozzato e lamentoso: compare meu Antoni, bos ant mortu, compare Antonio vi hanno ammazzato. Gli toccò la fronte e, vedendo il marchio,  con sangue rappreso, continuò ad urlare: compare Antoni bos ant mortu!

Abbandonò subito la grotta, oltrepassò il fiume, e correndo come mai aveva corso in vita sua, raggiunse il casolare a duecento passi dal nuraghe Aspru, entrò in casa e alla moglie che lo vide stravolto, urlò: -Ant mortu a compar’Antoni!

-Hanno ucciso  compare Antonio? Oih che disgrazia! E come fai a dire che l’hanno ucciso?-

-Come Gesù  Cristo sulla croce l’hanno ucciso! L’assassino l’ha trafitto alla fronte con uno strano disegno! Sellami il cavallo che corro in paese a dirlo ai carabinieri e avvertimi Andria!-

Maria corse a sellare il cavallo del marito, un baio abbastanza snello, e il marito, indossata una giacca di orbace, montò sulla sella e a spron battuto si diresse a Miramonti, mentre il cuore gli sussultava nel petto. Raggiunse velocemente sa punta de sas tanchittas, ma non rallentò la corsa e poi scese a tutto sprone verso la parte bassa e magra del rio Giunturas, passò davanti a sas Coas e via su su fino a Santa Maria de Aidos.  Nostra Segnora mia!- sussurrò passando davanti alla chiesetta  e percorrendo il sentiero irto che lo portava a Santu Miale, passò a Punta de Bona Notte, attraversò sferragliando Codinas, un vasto pianoro di roccia miocenica, costeggiò il bosco dei Frassini, spronò il cavallo verso Caminu de Litu e bloccato il cavallo davanti alla Caserma, salì i gradoni che lo condussero al portone e bussò. Il piantone aprì e visto l’uomo stravolto, esclamò: -Che c’è, che cosa e successo, sig. Mudulesu?-

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Il marchio della Protòme Taurina – III. La misteriosa morte di un archeologo miramontano di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

L’archeologo miramontano, Andria Galanu, era molto affezionato a Giuanne Ispanu, ma essendo presuntuoso, alla morte del canonico, si era messo in testa che il territorio miramontano doveva mangiarselo solo lui. Gli altri erano dei pasticcioni e non voleva più vederli, se avesse potuto li avrebbe fatti fuori ad uno ad uno sparando da dietro i muretti a secco. Il ricordo dei suoi antenati illustri però gl’impedivano di comportarsi come un volgarissimo killer fra i tanti che mangiavano ancora pane e carne a Miramonti. Era riuscito a farsi la casa vicino a Monte de Cheja, addirittura sfidando l’ira di Matteu Brancone con cui era mezzo imparentato e che aveva costruito sulla sua casa unìaltana marsigliese a sa othieresa. Da lassù controllava il territorio intero de su Sassu, altu e giosso, diceva sghignazzando a s’istradone con alcuni amici anarchici. Già, Andria era un anarchico convinto e avrebbe proclamato la repubblica delle famiglie, in un primo tempo, diceva lui, e poi la repubblica degl’individui in modo che lui potesse raggiungere la massima libertà. In realtà Andria faceva su bell’in piatta e su tristu in domo. Davanti alla santa donna vulvuese, che aveva sposata, si ammansiva, diventava obbediente, era tutto complimenti. Bastava un suo sguardo perché i suoi bollenti spiriti si calmassero. D’altra parte non aveva altre scelte se voleva godere di quattro giornate archeologiche al mese. In quei giorni, armato di tutto punto degli arnesi da scavo e di quelle cosette che Giuanne Ispanu gli aveva sempre suggerito, usciva di casa dimesso dimesso davanti alla moglie che gli concedeva la grazia, ma appena si ritrovava solo, diretto a Sassu Altu o a Sassu Giosso, sollevava la testa fiero e si perdeva tra lentischi collocati su balzi, sotto cui palpitavano anime di nuraghi, oppure, entrava tra le rocce rossastre, per una porticina rettangolare, per inoltrarsi nell’intrico delle domus de janas. Li dentro l’uomo si sentiva a suo agio, tanto che molti invidiosi miraramontani avevano messo in giro che parlasse con le anime dei morti prenuragici, sia pure inceneriti, di quelle domus. In realtà l’uomo entrava in quelle domus con una venerazione inaudita, secondo la condotta de su mastru barraghese, e recitava delle formule segrete che non aveva mai rivelato ad anima viva.

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Il marchio della Protòme Taurina – II. La maledizione dei Nuragici di Ange de Clermont

Scritto da ange de clermont

II. La maledizione dei Nuragici

Secondo sos archeologos de su Cabu de Susu, in Anglona, e in primo luogo  a Miramonti, il mistero del passato era facilmente riscontrabile scavando dentro e fuori dai Nuraghi, costruzioni ciclopiche a tronco di cono in trachite colorata che andava dal grigio al rossastro e raramente al bianco come i balzi rocciosi rimasti sfregiati dopo tante costruzioni. Certo, secondo le ipotesi più accreditate questi nuraghi dovevano un tempo essere arredati di scale e camminamenti in legno di cui non era rimasta più traccia. Si scoprono presso questi resti ciclopici bronzetti di guerrieri e di oranti,  navicelle con marinaio dell’epoca del bronzo, anfore, lance e spade, spesso causa di morte per gli scopritori. Una mistura di oggetti che lasciano intendere tribù primitive che avevano giocato alla guerra e che come tutti i popoli antichi mischiavano perfettamente segni sacri e profani, oggetti di culto e depositi di armi e dei loro simboli.

Il ritrovamento di questi oggetti di bronzo spesso portavano male: i pastori lo sapevano, ma altri ignari, credendo d’aver trovato un tesoro da contrabbandare, erano finiti male. Si raccontava che alcuni fossero scomparsi in voragini apertesi all’improvviso, mentre attraversavano vaste tanche d’asfodelo con i bronzetti nelle bisacce, altri fossero precipitati in immense forre presso i cui costoni dove camminavano per richiamare qualche pecora, altri fossero morti bruciati, svegli o addormentati, nelle pinnette presso cui avevano nascosto i misteriosi tesori.

Il grande archeologo Giuanne Ispanu, prima di raccoglierli e portarli nel suo grande museo di Càlleri, li sottoponeva ad esorcismi, a benedizioni con l’acqua santa, a veri battesimi di olio e acqua santa, le cui ampolle,  non mancavano mai nella sua bisaccia. I suoi allievi lo sapevano e conoscevano anche le formule di esorcismo e di benedizione, tuttavia spesso ricoprivano la terra dove li rinvenivano, lasciando che questi simulacri di un popolo defunto, continuassero a riposare in pace con i loro proprietari.

C’erano archeologi, venuti da fuori, che non conoscevano i riti e con leggerezza li mettevano in bisaccia per portarli via. Costoro non avevano tempo d’imbarcarsi, perché qualche voragine li  inghiottiva chiudendosi misteriosamente su di  loro.

-Il mistero del passato va lasciato  in pace.- Sussurravano i pastori.

- Questi oggetti dei morti antichi sembrano stregati.- Mormoravano le donne parlandone nei lavatoi dei paesi dell’Anglona ad ogni annuncio di morte.

- Sarebbe come togliere il pasto agli affamati, a portar via quei bronzetti, quelle anfore, quelle navicelle mortuarie- Aggiungeva  sentenzioso il vicario.

- Anima mia libera. Sant’Antonio abate. Santa Giusta e  santa Enedina, pregate per noi- Esclamavano le pie sorelle della Vergine del Rosario a sentire questi racconti e altrettanto ripetevano i confratelli della Santa Croce.

Sos archeologos dell’Anglona, da soli o in compagnia, prima di andare a tastare palmo a palmo il territorio si procuravano una boccetta d’acqua santa e d’olio benedetto , un rosario e almeno tre piccoli crocefissi con le consuete formule tramandate loro da Giuanne Ispanu che li aveva ammoniti spesso dicendo:

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