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Amare Chiaramonti: i suonatori di matraccas

Scritto da angelino tedde

Il senso del sacro e della sua bellezza, da fanciullo, lo colsi  nelle processioni del mio paese, che si effettuavano nella Settimana Santa, a Pasqua, alla festa della Vergine Dormiente.
Nella Settimana Santa anche  noi, ragazzetti di strada, restii a frequentare la scuola e la chiesa, insieme a  coloro che svolgevano con compiacimento il dignitoso ruolo di chierichetti, eravamo fortemente coinvolti: i primi rivestiti decorosamente nelle processioni, noi armati di matraccas precedevamo le processioni del Venerdì Santo preannunciandone l’arrivo nelle strade. Inoltre, dal giorno della velatura viola delle statue dei santi e dal giorno del legamento delle campane, noi diventavamo protagonisti annunciando le ore principali della giornata alla popolazione con lo sbatacchiamento frenetico delle mattracche.
Con i fabbri e i falegnami che tenevano bottega in paese non era difficile farsi predisporre una tavoletta rettangolare di noce o di altro legno duro, della misura di venti per venticinque centimetri, con apposito manico, e con delle maniglie di ferro da una parte e dall’altra.  Lo strumento musicale a percussione lo si afferrava per il manico e scuotendolo con una certa maestria si riusciva a produrre un fracasso  di notevole risonanza.
Schiere di ragazzini, attraversando le strade del paese e scuotendo all’unisono sas matraccas, attiravamo l’attenzione di tutti i compaesani.
La processione più suggestiva era quella de “S’Incontru” della Vergine Addolorata col Cristo morto in Croce.
La processione della Vergine Addolorata scendeva da Caminu de Cunventu, partendo dalla chiesa e colle del Carmelo, con una lunga teoria di confratelli e di consorelle delle diverse confraternite;  quella del Cristo in Croce partiva dalla chiesa parrocchiale con altrettante consorelle e confratelli,  rivestiti di camici bianchi con cintura viola.
La Vergine Addolorata s’incontrava con il Cristo morto nei pressi dell’Acquedotto e insieme le due processioni  si fondevano per attraversare le vie del paese. Noi precedevamo col fracasso della matracche, mentre la processione dietro di noi avanzava.
Poteva succedere allora di risalire per Carruzzu Longu, e di incontrare tiu Giuseppone, “a bonette in manu”, inginocchiato davanti alla porta di casa sua  e subito dopo tiu Cicciu Labbrosu, calzolaio, che smetteva di lavorare, e accanto alla sua porta quella de tiu Cucciullu;  di fronte a loro il dirimpettaio calzolaio, tiu Angheleddu Migaleddu, con la cantina, soprannominata sas conzas, dove in genere s’intratteneva a bere qualche bicchierino con gli amici.
La processione proseguiva per Carruzzu de Ballas, dove giaju Pira, con la pipa in mano, accennava ad un inchino devozionale, mentre le sorelle Chica  e  Sebustiana,  attendevano rosariando il passaggio del Cristo e della Vergine. Non mancava talvolta il vociante tiu Tebachéra, tiu Costantinu Porcheddu con tia Paolina Accorrà, tia Mettea Canu con il Grande Invalido di guerra, tiu Antoni Pira. Socchiudeva la porta di casa il miscredente Paulinu, mormorando “roba de prideros”; più religioso invece tiu Dominugu Sale con la moglie e tiu Matteu Villa.
La processione, attraversata  Carrela Longa, dove tiu Bottiglia, tutto compunto, cominciava a distribuire inchini ai confratelli. Il corteo svoltava davanti alla casa de tia Pedruzza Birchiddesa e allargandosi percorreva Piatta, dove  tiu Micheli Brundu, smetteva di battere sull’incudine e il maresciallo Pirinu, vestito di nuovo, osservava se le consorelle fossero agghindate a dovere. Le tre sorelle Ferralis, piamente chine mormoravano le litanie della Passione.
La processione proseguiva in Carrela de s’Avvocadu, dove tiu Antoninu, con la sua barba da padreterno invece di chiudere bottega, con gli occhi puntati sui processionanti e sul clero sembrava sfidare la devozione di tutti, compatito da tutti.
Tra litanie e invocazioni il corteo percorreva tutta via Cavour  dove tiu Giuanne Mureddu socchiudeva il negozietto e le donne Rottigni guardavano dalle finestre, quasi di fronte alle donne dei Grixoni che osservavano dal palazzo dirimpettaio.
Prima che la processione, raggiunta la caserma svoltasse verso la discesa, si manifestava la religiosità dei tia Lughìa Tedde, di tia Ziziglia e de tiu Peppe Tedde.
Raggiunto lo stradone il corteo svoltava ancora a sinistra per raggiungere la chiesa. I ragazzetti delle mattracche però facevano continuamente da battistrada con un fracasso che , a tratti, dava fastidio agli anziani. Quella d’altronde era la loro funzione. Della povera Madonna Addolorata e del Cristo Morto in Croce per tutti gli uomini, che cosa potevano capire se qualcuno in famiglia non si preoccupava di parlarne. Il loro matraccare era un modo di essere in mezzo alla comunità anche se, spesso, dei sentimenti religiosi della comunità poco potevano percepire. Sapevano però che al rientro a casa qualcuno avrebbe detto loro d’essere stato un buon suonatore di matracche e tanto bastava per questi monelli di strada.

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