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Amare Chiaramonti: dai carruggi al castello.

Scritto da angelino tedde


Volendo concludere il discorso sul paesaggio urbano non si può dimenticare quello rurale dove numerose case sparse hanno letteralmente infestato impudicamente il territorio. Quelle d’interesse architettonico sono certamente nel Sassu gallurese, i cosiddetti stazi.

Quegli agglomerati, quando si sono conservati vicino alle loro origini sono da fotografare e da studiare per la loro semplicità di moduli abitativi organici. Prima si costruiva la casa centrale e poi, man mano che occorrevano le altre camere (appusentos) a fianco, la casa si allungava un pò come si sono allungate le vie più antiche del paese. (Degli stazi si è curato l’architetto Simon in un classico studio che citeremo nella bibliografia)

Per determinare meglio l’epoca del paesaggio urbano, serve un equipe di tecnici, dall’archeologo del basso medieovo allo storico dell’arte, dall’urbanista all’architetto. Mi limiterò a dire che secondo le mie ipotesi cazrruzzu longu, carruzzu de ballas , secondo alcuni ballas sarebbe di origine recente, io riterrei che forse in quell’area di sedime della via siano state trovate numerose bocce di pietra, quelle lanciate dai vari attacchi da Cudinarasa da Rambaldo de Corbera non solo, ma anche da altri eserciti.

La rocca o il castello dev’essere stato abbattuto con brecce sulle mura da vigorose catapulte che inviarono non solo pietre, ma probabilmente oggetti infuocati per bruciare quanto c’era dentro la rocca di cui, accanto a esigui resti di mura, è rimasto un pozzo di raccolta delle acque e forse una torre mozza, inserita nel complesso della chiesa secentesca della torre campanaria.

Molti purtroppo confondono i resti della chiesa tardo-rinascimentale con i resti del castello, e vada anche così se così si preferisce. Interessante anche il cimitero accanto al lato sinistro dei ruderi della chiesa per chi la guarda da est. Biologi e antropologi potrebbero raccontarci facendo dei sondaggi a che periodo risalgono quei teschi e quelle ossa. Probabilmente il cimitero è coevo alla chiesa secentesca, colpita nel Novecento, a memoria degli anziani, e poi man mano distrutta dall’incuria.

Negli anni Quaranta del Novecento c’era una cava di pietra piatta e talvolta lassù biondeggiava il grano. Sotto i supporti di sostegno dell’estremità ovest della rocca, specie di rozze colonne di pietra, aveva sede negli anni Quaranta dello stesso secolo il mondezzaio del rione storico, a cielo aperto o sotto le grotte, quello che sembra il più antico del borgo perché alle pendici del castello.

Oggi sul castello, sulla sua origine costruttiva c’è lo studio del nostro giovane archeologo medievale. Non tutti gli enigmi sono stati sciolti, ma almeno sappiamo che al 1350 era costruito e che esso accolse nelle sue solide mura gli abitanti che abbandonarono le ville intorno, oggi sottoposte allo studio sistematico degli archeologi dell’equipe di Marco Milanese, attivo archeologo medievalista, che va mettendo in luce non solo i toponimi (come ha già fatto e continua a fare Mauro Maxia da decenni in Anglona, i cui risultati sono raccolti in svariati volumi,) ma anche il sistema delle ville la cui popolazione ha dato luogo all’agglomerato di Chiaramonti.

Ciò che resta misterioso ancora è che, quando gli storici spagnoli e sardi parlano del castello di Osilo e di Burgos accennano sempre al castello e al borgo, mentre non si fa così per Chiaramonti che viene menzionato come locus Claramontis, e non come borgo del castello. In un quadro del Seicento, raffigurante Santa Agnese, (ma non posso giurarci sopra) appare ai due lati una torre su Codinarasa e una costruzione abbastanza alta.

La famosa niera oppure un deposito d’armi, oppure un palazzotto. Non si sa, il pittore non dice di più, mentre sono dipinte sia la chiesa sia il convento dei padri carmelitani sul monte Carmelo e la parte retrostante della chiesa e del campanile di San Matteo al monte. Enigmi che altri più di me potranno sciogliere.

Certo è che Chiaramonti non figura nelle rationes decimarum del Sella del 1345, ma figurano i suoi rappresentanti pubblici, in primis Nicolaus Vare, alla firma del contratto tra l’Aragona ed Eleonora d’Arborea, “syndicus loci Claramontis”, nel 1388, quel locus non è burgi non è villae, ma potrebbe essere contrada. Lasciamo ad altri lo scioglimento dell’enigma, certo è che al capezzale storico dell’Anglona oggi troviamo studiosi come Mauro Maxia, Marco Milanese, Alessandro Soddu, Emanuele Sanna, Franco Campus e Gianluigi Marras con la moglie Caterina Cherchi.

Per altri settori e altri periodi di epoca moderna si sono cimentati per vari argomenti i non specialisti Mauro Gargiulo sulle chiese barocche, Alma Casula sugli altari lignei e Wallis Paris per l’inventario dei beni conservati nelle chiese.

Le notizie dateci dall’Angius nelle sue ricognizioni sui paesi sardi a metà Ottocento e quelle da lui attinte dagli storici spagnoli, dal viaggiatore La Marmora vanno accolte fino a che altri dati non ci permettano di fare più chiara luce sul nostro passato che va dal 1350, data della costruzione del castello fino alla fine del Quattrocento, quando gli aragonesi, cacciati pisani e genovesi, non esercitarono la loro totale egemonia sull’isola e quindi su Chiaramonti.

Angelino Tedde

(III continua)

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